Racconta il mito che Atalanta, abbandonata su un monte dal padre – il re Iaso – e salvata dalla Dea Artemide, fosse stata allevata da un’orsa. Cresciuta poi con cacciatori e pescatori, era divenuta una ragazza così forte da poter battere ogni uomo nella corsa.
E quando il re suo padre la riammise a corte ammirato dalle sue qualità, non contento di averla abbandonata, le impose di sposarsi.
Atalanta mise una condizione: avrebbe sposato soltanto colui che l’avesse battuta nella corsa, ben sapendo di essere più veloce di chiunque altro.
Alla fine il mito rivela che Atalanta si sposò. Ma sia chiaro: fu costretta con l’inganno.
Afrodite donò tre mele d’oro a Melanione, un pretendente innamorato, che le buttò lungo il percorso. Le mele attirarono Atalanta che si fermò a raccogliere perdendo istanti preziosi, e così perse la gara.
Cosa cosa possiamo dedurre da questo mito?
Probabilmente molte cose, ma senza dubbio ci mostra come, già nell’antichità, si fosse preso atto dell’eccezionalità atletica femminile.
Nonostante le donne greche non potessero partecipare alle Olimpiadi né come atlete né come spettatrici, alle loro competizioni erano dedicate le “Hereia”, cioè i giochi sportivi in onore della Dea Era.
E i mosaici di Piazza Armerina ci mostrano come, anche nell’Antica Roma, le pratiche sportive femminili fossero molto diffuse, in particolare le gare di corsa.
Muscoli al femminile
Il fatto che, solo nell’ultimo secolo, il mondo femminile abbia potuto riappropriarsi della dimensione sportiva anche a livello agonistico, è piuttosto sconcertante.
Certo alcuni millenni di misoginia hanno dato il loro contributo. Così come ha dato il suo contributo la convinzione, dura a morire, che il corpo delle donne fosse qualcosa da occultare e proteggere.
Lo stesso Pierre De Coubertin, inventore delle Olimpiadi moderne ebbe a dire: “Una olimpiade femminile sarebbe non pratica, non interessante, antiestetica e non corretta.”
Ci sarebbe da ridere, se non ci venissero in mente tutte le critiche, le polemiche, le offese e gli atteggiamenti di sufficienza rivolti tuttora ad atlete di livello eccelso.
Paradossalmente, nella storia, sono stati due regimi totalitari di segno opposto a dare spazio allo sport femminile a partire dagli anni Venti. Il nazi-fascismo con il suo culto della razza e della forza, senza volerlo aprì le porte alle primissime atlete olimpiche. E il comunismo dei decenni successivi, con la sua rigorosa educazione paritaria, ha formato – con grande durezza – delle vere “macchine da guerra” sportive in campo femminile.
Tuttavia, se a livello olimpico, il numero delle atlete è ormai pari a quello degli uomini, gli investimenti e la considerazione sociale nello sport, restano ancora ben distinte e disuguali.
E, come se non bastasse, emergono continuamente episodi di molestie e abusi – fisici, psicologici e sessuali – a danno delle giovani sportive che intraprendono la carriera agonistica.
Gloria alle figlie dell’orsa
Alle “figlie dell’orsa”, abbandonate e rifiutate per millenni, ora viene concesso di tornare a palazzo. Ma c’è uno scotto da pagare: sottomettersi sempre e comunque, e restare in secondo piano.
E quelle che, come Atalanta, di sottomettersi non ci pensano proprio, saranno anch’esse vittime di raggiro?
Troveranno sul loro cammino delle mele d’oro gettate perché inciampino, rallentino e rinuncino?
Ancora molta strada c’è da percorrere per raggiungere quello che dovrebbe essere il naturale equilibrio tra i generi. Ancora molte corse, per non farsi rimettere il giogo al collo, dopo aver sopportato costumi troppo casti o troppo discinti, limitazioni pretestuose, sarcasmo e battute da bar.
Ci piace immaginare che Atalanta tiri dritto senza preoccuparsi di nulla, saltando a piè pari gli ostacoli, ignorando insulti e offese.
E prendendo a sganassoni, direttamente in pista, il primo Melanione che si fa idee sbagliate.
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