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La follia al potere

Il Mondo è per lo più Gabbia di Matti. Incisione rebus di G.M. Mitelli, XVII secolo ©Fototeca Gilardi

Quando si imparava attraverso poche parole e chiari concetti, capitava di sentir raccontare brevi, edificanti leggende su personaggi storici. Leggende che avevano lo scopo di chiarire quali fossero i principi ritenuti importanti per diventare persone di valore.

Uno di questi racconti, quello che mi rimase più impresso da bambina, raccontava di un certo Cincinnato. Un antico nobile romano che era stato due volte dittatore, senza amare il potere.

Cincinnato, raccontava Tito Livio, era un patrizio ritiratosi a vita privata nella sua casa di campagna, dove viveva molto modestamente. Coltivava i campi con le sue mani e si occupava degli animali, vestendo come un qualunque contadino, nonostante fosse stato uno dei politici più stimati di Roma.
Un giorno vide arrivare una delegazione di Senatori che gli chiedeva di accettare la carica di dittatore per affrontare le incursioni e i saccheggi da parte di una popolazione vicina.
Cincinnato si fece portare la toga dalla moglie, la indossò, poi organizzò velocemente una strategia e nel giro di due settimane riportò la vittoria. Infine, senza aspettare la naturale scadenza dei sei mesi (tanto durava, allora, la dittatura) si dimise e tornò a fare il contadino.

È facile comprendere lo scopo didattico di questa leggenda. È facile capirne l’intento morale: i migliori uomini di potere sono quelli che non lo amano. Quelli che appena possono, rifiutano di esercitarlo.

Insomma, se il mondo è – non da oggi – una gabbia di matti, molto si deve a una carenza di “Cincinnati” tra chi ricopre mansioni di vertice nella nostra società.

Molti studiosi si sono interrogati sui motivi per cui sembriamo selezionare i peggiori, quando si tratta di comandare. Addirittura sono stati coniati neologismi per indicare questa dinamica sociale.

La psicologia ha individuato tempo fa una sindrome legata al potere: la “sindrome di hybris”. Hybris in greco indica presunzione, arroganza e orgoglio.
Chi soffre di questa sindrome sembra compiere azioni solo al fine di ottenere un rinforzo per la propria immagine. Perde così di vista gli obiettivi del proprio ruolo e il contatto con la realtà. La conseguenza è quella di seguire impulsi irrazionali che alla fine conducono, nel migliore dei casi, all’incompetenza.

Ma il problema non si limita a questo.

Lo psicologo polacco Andrew Lobaczewski, diretto testimone sia dell’occupazione nazista che di quella sovietica in Polonia, ha sviluppato il concetto di “patocrazia”. Cioè il fenomeno per cui una quota di persone affette da disturbi della personalità come il narcisismo e la psicopatia, arrivano naturalmente a posizioni di vertice. E lo fanno proprio grazie alle loro caratteristiche patologiche.

Le persone con tale tipo di disturbi, afferma Lobaczewski, hanno spesso una brama insaziabile di potere e desiderano costantemente attenzioni e conferme. Sentono di essere superiori agli altri e sono convinti di avere il diritto di dominare. La forte mancanza di empatia li rende capaci di abusare degli altri senza scrupoli e favorisce così, la loro scalata ai vertici della società.

Ovviamente non significa che tutti gli psicopatici e i narcisisti abbiano le stesse mire.
È tuttavia evidente che degli espliciti tratti narcisistici e psicopatologici caratterizzano troppe persone che si trovano a ricoprire ruoli dirigenziali e di comando. A tutti i livelli della società.
Lo stiamo vedendo molto bene da alcuni anni a questa parte. E potremmo trovarne numerose conferme riflettendo sull’intollerabile escalation di violenza delle ultime settimane.

La follia al potere

Le ipotesi e gli studi sulle probabili patologie mentali che avrebbero interessato figure di potere del passato come Hitler o Stalin, sono numerose e circostanziate.
Tuttavia spesso nel pensiero comune, la freddezza, l’ambizione e l’inflessibilità di molti condottieri e capi di Stato, sono guardate con ammirazione.
E come esistono i fan di Napoleone o di Giulio Cesare, di Nerone, di Attila o di Robespierre, così anche oggi c’è chi sente una fascinazione inspiegabile verso chi comanda con il pugno di ferro. Verso chi mantiene il potere per decenni bombardando e uccidendo. E anche nei confronti di chi si racconta come unico baluardo contro un nemico, che è lui stesso a creare.

Steve Taylor, professore di Psicologia dell’Università di Manchester, conferma l’ipotesi della “patocrazia” e sottolinea come i soggetti patologici esercitino un grande fascino sulle masse, causando però soltanto caos e conflitto.
Definisce questo tipo di persone, “iper-disconnesse” e scrive che “se sei molto disconnesso, provi un estremo sentimento di separazione, di essere incompleto. Desideri aggiungere potere, ricchezza, conquiste o successo alla tua persona. Cerchi di compensare quel vuoto, di raggiungere obiettivi per riempirlo e renderti forte”.
Da qui la corsa al potere fine a se stesso, a prescindere dalle conseguenze sulla società.

Anche Robert D. Hare, psicologo forense canadese, noto per le sue ricerche nel campo della psicologia criminale e professore emerito della University of British Columbia, si è occupato dello stesso problema.
Nel libro-inchiesta del giornalista Jon Ronson “Psicopatici al potere: viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione”, Hare avverte che le conseguenze della presenza di psicopatici in posizioni di vertice, non sono subito rilevabili. E questo comporta un danno immane per la società.

La maggior parte dei capi e dirigenti potenzialmente patologici, infatti, gestisce piani aziendali, strategie di marketing, politiche economiche e amministrative locali. Può prendere decisioni folli, su temi sensibili a livello politico come la sanità e l’istruzione, le cui nefaste conseguenze si potranno rilevare solo in futuro. Quando ormai sarà tutto irrimediabile e le responsabilità non si potranno attribuire con certezza.

Siamo quindi destinati alla distruzione? Come possiamo liberarci di manager e capi di Stato patologici, selezionando davvero i migliori?

Innanzitutto chiarendo con noi stessi il concetto di “migliore”.

Ed è piuttosto intuibile che, a livello politico e sociale, non dovremmo scegliere chi è migliore “per se stesso”, ma chi sa prendere le decisioni migliori “per tutti”. Cioè chi sa fare un passo indietro rispetto all’interesse personale, perseguendo quello generale.
Un bel cambio di paradigma, non c’è che dire.

Poi, memore della leggenda di Cincinnato, personalmente sceglierei uno che governi mal volentieri. Governare è una responsabilità così gravosa che, se la prendi sul serio e sei sano di mente, non ti ci potrai mai affezionare fino in fondo.


Bibliografia

Lobaczewski, A. (2006). “Political Ponerology: A Science on the Nature of Evil Adjusted for Political Purposes”.

Jon Ronson (2014) “Psicopatici al potere: viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione”

Hughes, I. (2018). “Disordered Minds: How Dangerous Personalities Are Destroying Democracy”.

Peter Garrard (2019) “The leadership hubris epidemic”

Steve Taylor (2021) “DisConnected: The Roots of Human Cruelty and How Connection Can Heal the World”

© riproduzione riservata


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