Silvio Berlusconi è morto.
Per decenni lo abbiamo chiamato solo per nome, perché già il nome bastava.
È stato per molti il simbolo di un’Italia gaudente, sbracata e bugiarda.
Per altri un mito da emulare, un uomo di successo, un salvatore della patria.
Imitato, idolatrato e odiato, per 40 anni ha raccolto il massimo dei consensi e il massimo del dissenso.
Silvio Berlusconi, da sempre divisivo, accentratore e fuori dalle righe, attraverso le sue TV ha “formato” gli italiani. Molto più di quanto non abbiano fatto le scuole.
Generazioni intere sono cresciute con i suoi programmi e con i suoi comizi, con i suoi scandali e i suoi processi.
Folle acritiche gli hanno creduto quando lanciava l’allarme contro l’avvento di un comunismo che non esisteva più neanche nella mente dei comunisti stessi.
Migliaia di persone lo hanno ammirato o disprezzato, per le stesse identiche parole. Per gli stessi gesti.
E nonostante i suoi ultimi anni siano stati solo una lunga parabola discendente, è riuscito a far parlare di sé fino all’ultimo giorno.
Quindi a buon titolo possiamo salutare Silvio Berlusconi con un lapidario “Ei fu”, come Manzoni esordì salutando la dipartita di Napoleone. Non tanto perché abbia una simile levatura storica, ma perché ha lasciato un segno indelebile nel nostro paese.
Curiosamente gira sul web una parodia che proprio Berlusconi fece del 5 maggio, mettendosi nei panni di Napoleone. Era il 2014 e lui, in piena campagna elettorale, sorridendo ammiccante declamava, indicando se stesso:
Ei fu.
Siccome ignobile, dopo il feral sondaggio
freme, s’indigna, esplode, in un fatal messaggio.
Dichiara affranto e triste: «Ormai, lo dico piano,
la destra non esiste se non ci metto mano!»
Per continuar l’impegno e non essere affranto,
devo cambiar contegno, oppure è solo pianto!
Ecco lo showman, sempre pronto a dare man forte al politico…
Sceso l’ultimo sipario, è il momento di consegnare lo showman, il politico, l’imprenditore, l’uomo Silvio Berlusconi, agli storici.
E, pur lasciando che siano altri a piangerlo, un commiato privo di rancore è quel che ci vuole. Proprio perché l’Italia possa andare oltre.
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