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Eduardo Scarpetta

Eduardo Scarpetta 'Miseria e Nobiltà', 1888

La paternità dei figli legittimi è sempre dubbia.
Quella degli illegittimi, al contrario, viene accertata col consenso popolare e diventa sacrosanta. La mia paternità è indiscutibile”.
(Eduardo De Filippo)

In questa breve battuta del suo più celebre “figlio illegittimo” è racchiuso tutto il mondo dell’attore, autore, regista e capo-comico, che fece la storia del teatro dialettale napoletano: Eduardo Scarpetta.

Eduardo Scarpetta, nacque a Napoli il 13 marzo 1853.
Suo padre Domenico era un funzionario del Ministero degli Affari Ecclesiastici del Regno borbonico.
La madre, Emilia Rendina, era figlia di un Ufficiale della Real Tesoreria.

Quinto di sette figli, Eduardo, indirizzato invano dal padre a seguire la sua stessa carriera, appena quindicenne, decise in entrare in una compagnia teatrale.

Il teatro lo aveva sempre affascinato. Con la sorellina Gilda durante l’infanzia metteva in scena personaggi e storie in un teatrino di legno da lui costruito.

Quando la famiglia si trovò in enormi difficoltà economiche dopo la morte del padre, Eduardo si buttò a capofitto nel lavoro di attore.

Ben presto suscitò l’attenzione di Antonio Petito, il più celebre “Pulcinella” del tempo che creò per lui il personaggio di “Felice Sciosciammocca”. Scarpetta rese celebre questa “maschera” tanto da oscurare lo stesso Petito.

Ferocemente ambizioso e appassionato, Eduardo Scarpetta in breve tempo riuscì a creare una propria compagnia teatrale.

Nel 1880, grazie ad enormi sacrifici restaurò e riaprì il teatro San Carlino che dopo la morte di Petito era in tragico declino.

Scrisse commedie nuove, con un taglio più moderno e adatto ai gusti del pubblico. Nel giro di pochi anni, divenne il più acclamato attore comico napoletano.

Mentre la sua carriera decollava rendendolo ricco e famoso, anche la sua vita privata iniziava a movimentarsi.

Fu in questi anni che Scarpetta divenne il capostipite di una vera e propria tribù, la cosiddetta dinastia ScarpettaDe FilippoMurolo.

Sposatosi con Rosa De Filippo nel 1876, aveva riconosciuto come proprio il bambino “nato settimino” che Rosa aveva partorito lo stesso anno.
Domenico, questo il nome del bambino, era in realtà figlio di re Vittorio Emanuele II.

Nel 1877 la coppia ebbe l’unico figlio in comune, Vincenzo, dal quale discende Eduardo Scarpetta Jr. che nel recente film biografico di Mario Martone “Qui rido io”, interpreta il ruolo del bisnonno Vincenzo.

Fu per l’amato figlio Vincenzo che Scarpetta scrisse una delle sue commedie più celebri, “Miseria e Nobiltà” creando per lui, allora dodicenne, il ruolo di Peppiniello.

Eduardo Scarpetta, noto per non farsi sfuggire occasioni amorose, nel 1891 aveva avuto anche una figlia, Maria, con una maestra di musica. Questa donna, Francesca Giannetti, aveva abbandonato la bambina in orfanotrofio.
Scarpetta riconobbe la piccola, le diede il suo cognome e se la portò a casa con il beneplacito della moglie Rosa.

Ma questo primo nucleo familiare si sarebbe presto allargato, con la nascita di Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, la cui madre Luisa, era la figlia del fratello di Rosa.

Scarpetta si fece sempre chiamare “zio” da questi talentuosi figli che portavano impresso il marchio del vero artista.
Non li riconobbe mai ufficialmente, ma li portò con sé sul palco fin dalla più tenera età istruendoli e impegnandoli in ruoli sempre più importanti, oltre che nell’attività di scrittura.

Tutta Napoli era al corrente dell’anomalia di questa famiglia che suscitava scandalo, ma la cosa era serenamente accettata.

Forse perché si trattava di una famiglia composta da artisti, che si supponeva fossero personaggi fuori dalle regole.

O magari perché Scarpetta (ormai ricchissimo) era percepito come un amato “sovrano” che poteva permettersi ciò che voleva.

O forse perché lui non se ne faceva un problema e aveva sempre la risposta pronta di fronte ai commenti salaci dei suoi concittadini.

C’è anche da considerare che la moglie Rosa accettò senza scomporsi il fatto di trovarsi circondata da bambini suoi, della nipote Luisa e anche della sorellastra Anna dalla quale Scarpetta aveva avuto altri tre figli (Ernesto Murolo, Eduardo Passarelli e Pasquale De Filippo).

È noto che il grande Eduardo De Filippo non amasse parlare del proprio padre.
Peppino addirittura scrisse un libro autobiografico in cui dichiarava il suo odio per questa figura di despota che si era rifiutato di riconoscerli.

Tuttavia la personalità di Eduardo Scarpetta segnò indelebilmente il loro destino artistico e il fratello maggiore Vincenzo, fu la loro prima guida sul palcoscenico.

Divenuto ricco, Eduardo Scarpetta fece costruire una grande villa sulla collina del Vomero “Villa Santarella” sul cui portone aveva fatto incidere la frase che dà il titolo al film a lui dedicato: “Qui rido io”.

La villa fu per diversi anni teatro di feste e cene fastose, con spettacoli pirotecnici. Scarpetta era solito invitare poeti, letterati, scrittori, giornalisti e amici, sfidandoli a gare di sonetti e mettendo in palio ricchi premi.

Il suo ego sostenuto dall’amore del pubblico, dalla stima dei potenti, dal successo e dalla ricchezza crescenti, fece però fare un passo falso a questo idolo delle folle.

Desideroso di far concorrenza al nuovissimo Salone Margherita con un suo cafè-chantant, ricevette inaspettate critiche degli autori suoi contemporanei che lo accusarono di essere ormai superato.

Mise in scena una parodia della “Figlia di Jorio” , opera del più celebre poeta mainstream dell’epoca: Gabriele D’Annunzio.
Certo del favore del pubblico si ritrovò invece sommerso di fischi. Il “vate” gli intentò una causa per violazione del diritto d’autore (la prima in Italia).

Scarpetta dopo un lungo iter legale vinse la causa esibendosi in tribunale come fosse sul palcoscenico.

Tuttavia il suo spirito era fiaccato e nel 1909 si ritirò dalle scene.
Morì nel 1925 e la città di Napoli lo omaggiò con imponenti funerali.

Pochi anni dopo, la carriera dei suoi figli Titina, Eduardo e Peppino De Filippo sarebbe decollata. In pochi decenni avrebbero conquistato non solo i teatri, ma anche il cinema e la TV, facendo conoscere il talento dei “noti illegittimi” in tutto il paese.

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