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27 luglio 1993

via Palestro, Milano, veduta delle rovine dopo l'attentato del 27 luglio 1993. Fotografia di Patrizia Piccini. ©Fototeca Gilardi

Attentato in via Palestro

Il 27 luglio 1993, verso le 23, i vigili del fuoco di Milano ricevono una chiamata che segnala fumo da un’auto in sosta in via Palestro. Accorsi sul luogo si trovano davanti un’autobomba che esplode prima che possano mettersi in sicurezza.

Nell’attentato perderanno la vita cinque persone. I tre vigili del fuoco accorsi per disinnescare l’ordigno, il vigile che aveva allertato le autorità e un immigrato marocchino che dormiva su una panchina lì accanto. 

Ultimo di una lunga serie di stragi mafiose – che ci avevano già privati delle due figure più rappresentative della lotta a Cosa Nostra – l’attentato di via Palestro ebbe un notevole impatto mediatico.

Il 27 luglio 1993, uccidendo 5 innocenti, procurando ingenti danni al Padiglione d’Arte Contemporanea e alla Galleria d’Arte moderna, la Mafia colpiva al cuore la capitale “morale” d’Italia. Colpiva quel Nord che sembrava lontano mille miglia dalle Procure antimafia siciliane, che avevano visto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino muoversi, lottare e infine soccombere. 

Soltanto due mesi prima, con un’identica strage – a Firenze in via dei Georgofili – Cosa Nostra aveva dato segnali inequivocabili di minacce dirette allo Stato.
Lo scopo era quello di creare le condizioni per una trattativa.

Ma il lungo, sfacciato e feroce attacco terroristico della Mafia allo Stato tra il 1992 e il 1993 sortì l’effetto opposto.

Operazione Vespri siciliani

Con l’Operazione Vespri siciliani, si decise di militarizzare la Sicilia e diversi compiti di Pubblica Sicurezza passarono nelle mani dell’Esercito.

Nel giro di 5 anni, attraverso attività di sorveglianza, pattugliamento, rastrellamento, ma anche di protezione dei testimoni, i maggiori boss dell’epoca vennero arrestati.
Totò Riina, Gaspare Spatuzza, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e altre decine di capi mafiosi finirono “al 41 bis”,

Oggi, a distanza di tre decenni, una domanda sorge spontanea: perché si ritenne opportuno attendere fino all’estate del 1993 per usare il pugno di ferro contro Cosa Nostra?

Non avremmo forse dovuto proteggere con lo stesso accanimento due magistrati vivi, piuttosto che piangerli morti quando era troppo tardi?

© riproduzione riservata


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