Lo chiamavano Manajetta
Storia di un’impiccagione a Gaggiano e appunti sulla criminalità in Lombardia tra Sette e Ottocento
Saggio a cura di Aurelio Citelli, pubblicato dall’Associazione culturale Barabàn
La vicenda
Gaggiano, Regno Lombardo-Veneto, 1833: una rapina a mano armata sulla strada Postale, tra Gaggianello e il Ponte della Bonirola. La cronaca procede con l’arresto di Carlo Bettoli, detto Manajetta la sua condanna a morte decretata dal Giudizio statario della provincia di Pavia riunito a Gaggiano e la sua impiccagione sulla Vigevanese.
La vicenda è ricostruita attraverso fonti giornalistiche e documenti d’archivio, con qualche licenza narrativa. Uno sguardo sul tema della criminalità che ha imperversato nel Milanese e nel Pavese ma più in generale in Lombardia, tra Settecento e Ottocento.
Lo scenario
Nella cornice di campagne segnate dalla miseria e dalla fame, l’insicurezza regnava ovunque: sulle vie di comunicazione, nelle case, nelle cascine, nelle osterie. I viandanti venivano derubati, le carrozze assalite, le case razziate, gli osti truffati, le chiese violate, le cascine prese d’assalto e incendiate, i fittabili ricattati, i contadini uccisi, i bovini orrendamente massacrati.
A occupare la scena, una schiera di ladri, piccoli delinquenti, banditi e briganti, soli od organizzati in bande, le cui storie sono rimaste, oltreché nelle sentenze dei tribunali, anche nella memoria popolare.
Alla violenza criminale, il potere rispose con codici penali arretrati, processi senza difesa, punizioni disumane, torture medievali, procedimenti sommari del tutto simili a quelli allestiti dai tribunali militari che, quasi sempre, si concludevano con la pena di morte: forca, ghigliottina o fucilazione. Eventi ai quali il pubblico partecipava numeroso, quasi in una sorta di happening tra festa paesana e rito religioso.
Lombardia poco conosciuta
Dalle pagine del libro di Citelli emerge un lato poco conosciuto della Lombardia di due secoli fa: campagne contrassegnate dalla violenza, banditi efferati che tengono sotto scacco viandanti e fittabili, pene durissime e inappellabili, contadini sospettati dalla polizia e messi in stato di fermo, giustizia disumana. Se non è il West delle celebri sequenze cinematografiche o il Meridione del brigantaggio, la Lombardia della Cisalpina e della Restaurazione che esce dal volume Lo chiamavano Manajetta non è certo meno torbida e selvaggia.
L’autore
Aurelio Citelli (1956), ricercatore, musicista e autore di docufilm, si dedica alla raccolta di musiche tradizionali, memorie etnografiche e storia orale. Nel 1982, con altri musicisti milanesi, ha fondato Barabàn con il quale ha tenuto concerti in tutta Europa, Russia e Nord America, e ha pubblicato 7 album e un DVD. Ha curato la regia dei video Roberto Leydi. L’altra musica (2004), Le voci dei pifferai (2004), Ballo d’Aprile (2005), Oltrepo. Le immagini ritrovate (2007), Mario Brignoli. Vuse ‘pasiunà (2008), A5405. Nedo Fiano (2012), Le Cento Primavere di Maino (2013), San Vito al fronte (2015), Gaggiano, arte storia ambiente (2016), I ragazzi della Speranza 1967-2017 (2017).
Oltre che autore del presente libro Lo chiamavano Manajetta (2022) con G. Grasso è autore dei volumi La tradizione violinistica nell’Oltrepo pavese (1993) e La Piva natalizia tra Milano e il Ticino (2019). Con G. Grasso, A. Rovelli e M. Savini ha pubblicato Int u segnu, Guaritori popolari e pratiche magiche nelle Quattro province (2014).
Ha raccolto la testimonianza, fra gli altri, di Luchino dal Verme (partigiano, comandante della Divisione Gramsci), Nedo Fiano (sopravvissuto ad Auschwitz), Eva Tagliani (contadina, cantatrice), Enrico Piccaluga (deportato a Dachau), Agide Sassi (sopravvissuto a Cefalonia), Giovanna Nobili (mondina, cantatrice), Gianfranco Maris (deportato a Mauthausen), Mario Brignoli (reduce dalla Russia, cantore).
ISBN 978-88-909698-2-9
1° edizione 2022 – ACB/BOOK 23
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.