Oggi siamo abituati ad usare la parola “mutua” alludendo all’assistenza sanitaria pubblica, o alla sospensione dal lavoro di un dipendente in malattia.
Tuttavia, l’assistenza che noi chiamiamo “mutua”, apparve ben prima dello Stato Sociale. Ben prima che i governi prendessero atto della necessità di tutelare con delle leggi, le masse lavoratrici e i cittadini indigenti.
Questo termine infatti è tutto ciò che resta della primissima forma di solidarietà tra i lavoratori: la Società di Mutuo Soccorso.
Nate come conseguenza della Rivoluzione industriale, le Società di Mutuo Soccorso costituivano la faticosa (e autonoma) risposta alla mancanza di diritti della nuova classe operaia.
Nel corso dell’Ottocento infatti, all’esponenziale sviluppo economico, non corrispose un analogo sviluppo legislativo in materia di lavoro.
Come accade ogni volta che la tecnologia fa fare un balzo in avanti all’umanità, la società cambiò così rapidamente che le masse ne vennero travolte e schiacciate.
Anche oggi, con la nuova rivoluzione digitale, possiamo osservare questo fenomeno, diventato ormai ineludibile.
Due secoli fa, le masse contadine inurbate che costituivano il grosso della forza lavoro nelle fabbriche, ebbero il loro “da fare” per assicurarsi (e assicurarci) una minima tutela. All’epoca non esistevano né la pensione, né l’indennità di disoccupazione, tantomeno un’assistenza sanitaria.
L’operaio che si ammalava, semplicemente non percepiva lo stipendio. Si lavorava a cottimo e se si lasciavano due dita o una mano in un telaio o in una catena di montaggio, era la fine.
Poiché la maggior parte delle famiglie operaie delle città non avevano più una rete sociale che potesse appoggiarle in caso di malattia, perdita del lavoro, cura della prole, l’idea di organizzare un soccorso reciproco, lentamente si fece strada.
Sicuramente il passaggio più importante fu quello di sviluppare una coscienza di classe. Cioè riconoscere se stessi nel povero collega di lavoro morto di polmonite o rimasto senza un arto. E di riconoscere la propria famiglia, nella vedova e negli orfani rimasti senza cibo e senza casa.
Alla gioia di aver trovato un lavoro nella grande città e di poter far parte dello sviluppo di fine secolo, era seguita la consapevolezza di condividere con migliaia di altri sconosciuti, delle condizioni di vita miserabili.
Soltanto questa consapevolezza, unita al bisogno, riuscì a spingere le masse operaie a privarsi di una quota mensile del proprio salario, per metterla in una cassa comune al servizio di tutti.
Le Società di Mutuo Soccorso garantivano sussidi in caso di malattia, invalidità o di morte dei soci. Ma non si limitarono a quello.
Con il tempo iniziarono a fondare scuole serali e professionali, organizzarono la vendita di prodotti di prima necessità al prezzo di costo, destinata agli operai. Costruirono magazzini, forni sociali e previdero una forma di sostegno creditizio agli associati.
Fu solo grazie a queste forme di organizzazione solidale che si arrivò ben presto alla nascita dei primi sindacati e alle prime lotte operaie. E alla presa d’atto, da parte dei Governi, della necessità di una Previdenza e di un Sistema Sanitario pubblici.
Con la creazione della Previdenza pubblica, quelle che un tempo erano le “quote sociali” divennero un onere che tutti i lavoratori iniziarono a versare allo Stato. In cambio delle necessarie tutele.
E la Sanità Pubblica, sostenuta dalle tasse dei cittadini, mise in sicurezza una larga fascia della popolazione che prima non avrebbe potuto accedere alle minime cure mediche.
Ora, nell’occhio del ciclone della più grande rivoluzione tecnologica dopo quella ottocentesca, cosa sta accadendo?
Vediamo andare in pezzi l’intero sistema di tutela pubblica, mentre una diffusa mancanza di empatia ci impedisce di coltivare una coscienza di classe.
Le migliaia di lavoratrici (di fatto “a cottimo”) con contratti di 15 ore alla settimana, spalmate su 6 giorni e su 4 sedi diverse, quanto sono differenti dalle sartine di fine ‘800?
Le centinaia di corrieri e fattorini, stritolati da tempistiche da cyborg e da un’organizzazione del lavoro che non tiene conto del fattore umano, sono in condizioni molto diverse da quelle di un operaio di inizio ‘900?
E che dire del crescente numero di disoccupati, inoccupati e lavoratori “obsoleti”, utili solo a dar lavoro a chi tiene corsi di formazione?
Ecco. È in questo clima che si pone nuovamente il problema di ripensare a un Welfare pubblico adeguato ai tempi.
Non previdenza e assicurazioni private o di categoria, che lasciano a piedi ormai mezzo paese.
Abbiamo urgenza di prendere atto che la solidarietà sociale è il primo motivo per cui uno Stato esiste.
Tutto il resto verrà di conseguenza.
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