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La scuola senza pedagogia

La scuola senza pedagogia

Ripartono, come ogni anno, le lezioni scolastiche con il loro corollario di polemiche.

Classi-pollaio in città e scuole di paese chiuse. Caro libri, incarichi fuori regione, mancanza di insegnanti di sostegno, obsolescenza delle strutture scolastiche. E l’elenco potrebbe continuare.

Come ogni servizio pubblico italiano, anche quello scolastico sembra correre rapidamente verso la fine. Smantellato un pezzo alla volta il servizio sanitario nazionale, ecco che ora tocca alla scuola.

Quando nell’Italia post unitaria, liberali e progressisti si videro uniti nel puntare su un’istruzione pubblica obbligatoria di qualità, capace di formare i nuovi cittadini, mai si sarebbe potuto immaginare lo sfacelo attuale.

Eppure i problemi dell’istruzione, oggi, non sono diversi da quelli di ieri.
Abbiamo ancora centinaia di migliaia di analfabeti, se consideriamo la scarsa formazione digitale dei più anziani, e il gap linguistico e culturale che i nuovi immigrati devono colmare.
La società sta cambiando rapidamente, e ancora più rapidamente si stanno sfaldando i legami sociali, quelli familiari e associativi.

Il crimine conquista fasce sempre più ampie di minorenni, crea modelli di comportamento che passano acriticamente nel loro quotidiano, nel loro linguaggio misogino e violento.

Il capitalismo senza freni ha cambiato completamente la faccia delle nostre società. Ha lasciato ragazzi e ragazze nelle avide mani del mercato, senza strumenti per decodificare la manipolazione della quale sono oggetto.

Gli adulti sono per lo più spremuti fino all’osso da un sistema lavorativo psicotico che premia i peggiori e non contempla più battaglie per i minimi diritti.

Ebbene, sotto quale aspetto l’Italia di oggi sarebbe migliore dell’Italia post unitaria?

Quanto siamo diversi dalle masse di proletari che non potevano permettersi di mandare i bambini a scuola? O che non avevano i minimi strumenti culturali per gestire i cambiamenti epocali di fine secolo?
Certo i nostri figli sono iscritti a scuola. Sono obbligati a frequentare fino ai 16 anni.
Ma basta uno sguardo un po’ più ravvicinato per vedere che, di questa massa di studenti, solo una piccola parte usufruisce di un’istruzione vera e propria.

Di anno in anno aumenta il numero di studenti abbandonati a se stessi.
Non certo per volontà degli insegnanti, molti dei quali sono eroici.
Sono abbandonati da un sistema scolastico che non dà strumenti adeguati, sottrae risorse e obbliga i docenti a ore e ore di inutili “burocrazie”.

La forma soppianta via via la sostanza. Aumentano i progetti sulla carta, ci si perde tra gli acronimi che nascondono il vuoto. Si acquistano oggetti inutili alla didattica mentre gli edifici crollano.

La gestione aziendale degli istituti rende l’istruzione una merce come tutte le altre.
Ma rende merce anche gli studenti.
E così chi ha difficoltà viene buttato fuori prima possibile perché, a chi importa che abbia davvero un’istruzione?
L’importante è che si sfornino promozioni e si facciano uscire rapidamente gli elementi problematici dal ciclo.
Non ci sono strumenti per gestirli. Non esistono più da tempo.

Forse pochi lo sanno, ma la figura del pedagogista è scomparsa dalle scuole.
Sembra paradossale, eppure gli unici professionisti capaci riconoscere i problemi didattici-relazionali (appunto “pedagogici”) dei nostri bambini, sono figure pressoché inesistenti da anni nelle scuole.

Le riforme scolastiche degli ultimi decenni hanno eliminato queste figure fondamentali, lasciando ai neuropsichiatri il compito di “diagnosticare” dislessie, discalculie, ADHD, etc.

E così facendo hanno gettato su studenti e famiglie la responsabilità di trovare, autonomamente, metodi didattici personalizzati, magari dopo anni di sofferenze e smarrimento.

Ma una salda preparazione pedagogica è il fondamento di una classe docente e di un sistema di istruzione degno di questo nome.
E che la scuola italiana (che può vantare nella sua storia pedagogisti di fama internazionale come Maria Montessori) sia ridotta in questo modo, ha dell’incredibile.

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