Quando nel 1774 il venticinquenne Johann Wolfgang Goethe diede alle stampe I dolori del giovane Werther, stava intercettando un sentire comune nella sua generazione. Tuttavia non avrebbe potuto immaginare l’ondata di suicidi che la lettura del suo romanzo avrebbe innescato nel giro di pochi mesi.
Goethe all’epoca esercitava la professione di avvocato. Due anni prima si era trasferito a Wetzlar, dove si era iscritto come praticante presso la Corte imperiale di giustizia. A dire il vero le questioni legali non lo appassionavano affatto. Spendeva infatti tutto il tempo in compagnia di altri giovani intellettuali, interessato più agli scambi culturali che alla professione.
Tuttavia proprio a Wetzlar trovò la principale ispirazione per il personaggio di Werther: Karl Wilhelm Jerusalem.
Jerusalem aveva solo un paio d’anni più di Goethe e i due si erano già incontrati all’Università di Lipsia senza piacersi molto. Figlio di un noto teologo luterano e impiegato presso l’ambasciata di Brunswick, il giovane soffriva a causa di un amore impossibile per la moglie di un collega. Al colmo della disperazione il 30 ottobre 1772 si era suicidato sparandosi nel proprio appartamento. Come messaggio d’addio, un libro di Lessing aperto sulla scrivania, in cui si coglieva l’inutilità di vivere.
Anche Goethe all’epoca viveva un amore impossibile per una donna prossima alle nozze, Charlotte Buff, che nel romanzo diventerà la dolce Lotte amata da Werther. Ma dalla propria vita il giovane autore decise di prendere soltanto gli spunti necessari per comporre l’opera che, nel giro di poco tempo, lo avrebbe portato alla fama.
E, come fece Foscolo dopo di lui, uccise il proprio alter-ego letterario sopravvivendo con un sano pensiero positivo ai richiami suicidi che, invece, irretivano molti suoi contemporanei.
I dolori del giovane Werther divennero, nel giro di pochi mesi, i dolori condivisi da tutti i giovani pre-romantici di fine secolo.
Infiammati dalla triste vicenda e dall’emotività scomposta di Werther, molti giovani iniziarono a rivedersi in quella figura immaginaria di innamorato deluso ed eccentrico.
Cominciarono a vestirsi come Werther nel giorno del suicidio: marsina azzurra, panciotto giallo, calzoni bianchi e stivali col risvolto.
Nacque addirittura un merchandising intorno al romanzo, come l’Eau de Werther o le silhouette in porcellana dei due giovani protagonisti innamorati.
Il libro fu tradotto in varie lingue portando scompiglio nei salotti colti, così come nelle case borghesi e diffondendosi in tutti gli strati sociali.
Ma l’effetto più dirompente fu l’ondata di suicidi “in stile Werther” che seguirono il diffondersi del romanzo.
Effetto Werther
Lo scrittore rimase particolarmente scosso da quello di Christel von Lassberg, che il 16 gennaio 1778 si annegò nei pressi della casa di Goethe. Si diceva che la giovane suicida per amore, avesse in tasca una copia del libro.
Queste tragedie turbarono Goethe a tal punto da convincerlo a rimettere mano al romanzo, per smussarne alcuni passaggi .
È lo stesso autore a ricordare, anni più tardi, che «l’effetto di questo libretto fu grande, anzi enorme, e specialmente perché comparve nel tempo giusto. Infatti come basta una piccola miccia per far scoppiare una mina potente, così l’esplosione che si produsse a questo proposito nel pubblico fu fragorosa, perché il mondo dei giovani era già minato.»
In effetti già quattro anni prima il poeta inglese Thomas Chatterton, suicida a 17 anni in condizioni di estrema povertà, era assurto a idolo romantico.
Nella società inquieta di fine ‘700, dove già ribollivano istanze rivoluzionarie e angosce personali, gli eccessi emotivi e i gesti estremi si stavano trasformando lentamente in simboli di grandezza d’animo.
In questo contesto il suicidio divenne per le giovani generazioni dell’epoca un gesto eroico. Una sorta di ribellione al sistema, di protesta contro la mancanza di ideali e di bellezza. Ma anche un segno di sete inappagata di amore e di giustizia.
Insieme a una strana fascinazione per la morte, questa visione caratterizzerà tutto l’Ottocento. Arriverà fino a noi nelle vesti di molti personaggi letterari che, come Werther, assurgeranno pericolosamente a eroici simboli del male di vivere.
Ancora oggi l’impatto che questo romanzo di Goethe ebbe sui suoi contemporanei viene ricordato come “effetto Werther”. Con queste parole si indica l’emulazione indotta dalla diffusione di una notizia di suicidio.
Rilevato in moltissime ricerche, ma sempre sottovalutato, ha anche un suo opposto omologo: l’effetto Papageno, dal nome di un personaggio del Flauto Magico di Mozart.
Papageno infatti si salva dal suicidio grazie all’aiuto di amici che gli suggeriscono soluzioni diverse per affrontare i suoi problemi.
Sull’emulazione positiva e negativa indotta dai media sulle giovani menti ci sarebbero da scrivere fiumi di parole, ma non è questa la sede.
Tuttavia è indubbio che una seria riflessione in merito sia urgente.
Infatti, mai come oggi i media stanno prosperando sulla pelle dei giovani, inducendo paure di ogni genere e uccidendo in loro ogni speranza nel futuro.
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