Chi inventò gli stemmi e perché?
Per secoli gli studiosi di araldica hanno retrodatato la loro comparsa, attribuendone l’invenzione a grandi condottieri come Alessandro Magno o a figure bibliche come Noè.
La verità è che l’uso sistematico degli stemmi apparve nel periodo tra le prime due crociate, in epoca medievale, per uno scopo meramente pratico.
Apporre prima semplici bande colorate e poi figure ben riconoscibili sugli scudi, era l’unico modo per distinguere gli amici dai nemici nell’infuriare della battaglia.
All’epoca infatti la cotta di maglia e l’elmo coprivano quasi totalmente il volto dei soldati dotati di armatura, niente affatto riconoscibili.
Lo stesso problema ovviamente si poneva nei più piacevoli passatempi cavallereschi: i tornei.
Questi segni di riconoscimento si trasformarono presto in emblemi personali e, dal XII secolo in poi, cominciarono a essere trasmessi in eredità alla famiglia.
Prìncipi e nobili furono i primi utilizzatori ed è solo per questo che oggi associamo gli stemmi e l’araldica al possesso di un titolo nobiliare. Invece fin dal XIII secolo gli stemmi iniziarono a diffondersi in ogni ceto sociale e in ogni categoria.
La diffusione di “segni di appartenenza” come gli stemmi rispondeva all’esigenza di riorganizzare una società in grande sviluppo e cambiamento. Proprio come stava accadendo con la contemporanea diffusione dei cognomi.
Gli stemmi erano infatti utilizzati da uomini e donne, civili e militari, ecclesiastici, contadini e borghesi, corporazioni e città.
L’unico vincolo era quello di non “violare il copyright”, cioè non copiare gli stemmi altrui.
Per questo doveva esserci un elenco consultabile e preciso degli stemmi e delle loro attribuzioni.
Inizialmente furono gli araldi a svolgere questo censimento e a codificare le regole per l’uso di determinate forme e colori.
Da qui la disciplina che studia gli stemmi, prese il nome di araldica.
Soltanto gli araldi erano in grado di “blasonare” uno stemma.
Blasonare, significa comporlo scegliendo il giusto colore del campo, inserire le figure principali (qualità, numero, posizione e colore) e infine le figure secondarie.
L’utilizzo di figure animali e vegetali negli “stemmi parlanti”, quelli cioè che alludevano al cognome, era letterale. Ad esempio per la famiglia Orsini, si inseriva un orso, per gli Scaligeri, una scala.
Più spesso le figure si sceglievano per il loro significato simbolico.
Impossibile fare qui un elenco esauriente delle figure umane, gli oggetti, le piante e gli animali reali e immaginari, usati in araldica.
Dobbiamo pensare a semplici associazioni come quella del leone per il coraggio o dell’aquila per la potenza. Altre associazioni come quella tra l’avvoltoio e la pietà, per noi sono ormai piuttosto complicate da cogliere, ma un tempo erano facilmente leggibili.
Altrettanto parlanti erano i colori che inizialmente vincolavano anche l’inclinazione delle bande. Ad esempio l’azzurro voleva bande orizzontali, il nero verticali e orizzontali sovrapposte. Il porpora esigeva diagonali da sinistra a destra, il verde da destra a sinistra e il rosso verticali.
Insomma un vero e proprio codice comunicativo che si avvicina molto alla moderna arte grafica applicata alla creazione di marchi e loghi personalizzati.
Dopo lo sviluppo dell’arte araldica, gli stemmi ebbero alterne fortune.
La Rivoluzione francese volle spazzarli via, ma un secolo prima Re Sole non solo ne aveva favorito la diffusione. Per tassarli e ricavarne sostanziosi introiti, li aveva pure attribuiti d’ufficio a chi non li aveva.
Oggi, come già detto, l’antico stemma è si è trasformato in marchio o logo, ma in ambito ecclesiastico papi, cardinali e vescovi ne scelgono ancora uno personale, blasonato secondo le antiche regole dell’araldica.
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