Solo ancora una nota piccola piccola: è lo spettatore, intendo chi guarda la fotografia, è lui, meglio o peggio, il vero fotografo nella fotografia. Michele, io e te sappiamo bene che la fotografia è l’ingrandimento di un mirino che l’ha presa, e sappiamo bene cosa questo significa: ma gli altri? Chi sa di essere lui il vero autore della ripresa, quello che la sceglieeee, che la decideeeee, che scatta il clic terminale… Pensa che poi a volte si indigna per averla fatta, che strilla io no io no: io rispetto i morti! Vergognaaaaaaa! [09/04/2011]
Ottimo argomento, direi fondamentale, con tuo permesso (o senza) interverrò più volte. Intanto una premessa di fondo: Dio finalmente ha dato ai fotografi una super, iper extra, magna, ultra colla: Photoshop, nato come programma di “ritocco”. Come mi pare abbia già scritto, Photoshop è anche la grande macchina fotografica del futuro, per fare finalmente, non per prendere, le fotografie fotografie, e non più le banali, insipide, insignificanti istantanee per le quali occorrono grottesche trappole “reflex” che oramai catturano solo poveri topi iconici morti stecchiti… (non farmi leggere a Scianna…) [05/04/2011]
Ci sono due tipi fondamentali di fotomontaggio, uno consiste nel mettere dentro una fotografia pezzi di un’altra; il secondo nell’accostare due fotografie. Nasce allora nello spazio una terza immagine invisibile: si vede nella mente, cioè viene pensata, e per essere vista si deve scriverla, cioè tradurla in un testo/immagine che da solo, pensate, non ha significato visivo. Accade anche che l’immagine invisibile sia pensata prima di scegliere le due immagini, la coppia genitrice. L’immagine invisibile è soggettiva, cioè da una medesima coppia nascono immagini diverse per ogni artista, o anche per un medesimo artista. Ancora un passo avanti: l’accostamento fra due immagini può avvenire in spazi e tempi diversi. Se lo spazio è il medesimo (“schermo”) e il tempo brevissimo (frazione di secondo) si ottiene il cinema e cioè una serie di immagini invisibili del “moto” che non esiste nell’immagine che però… si vede. Eh amici, si fa presto a parlare di fotomontaggi, si fa… [05/04/2011]
Forse non è nelle tue intenzioni, Michele, ma mi provochi: viene prima la foto o il fotografo…? Ma come lo devo dire al popolo di Fotocrazia che viene prima, e resta solo, il Cliente, cioè chi è disposto a dare dei soldi in cambio di una fotografia che gli serve. Questa è una legge universale che vale anche per le opere d’arte di ogni genere. Prendi come esempio una scatoletta di cacca che è… un escremento: ma se tu riesci a venderla per migliaia di dollari si trasforma in un’opera d’arte e i maggiori musei del mondo se la contendono. [02/04/2011]
Michele, e dagli! Duchamp non ha mai fatto baffi, come scrivi, a “un dipinto dal copyright ampiamente scaduto” ma a una fotografia, e bada che non scrivo del dipinto, che non lo so, ma forse di una fotografia di una fotografia del dipinto, o anche di una sua copia dipinta… eccetera. Siamo sempre lì: la gente continua a credere che la fotografia di un quadro non è una fotografia ma un/il quadro, e badaben: in tutte le storie dell’arte, in tutti i cataloghi, i testi fanno riferimenti critici estetici tecnici alle immagini come se fossero proprio i quadri veri e no – nemmeno – le fotoincisioni, intendo le riproduzioni tipografiche a inchiostro e di formato diverso, inteso anche come rapporto base/altezza, delle fotografie, oggi numeriche, dei quadri. Poi, la citazione: con i testi non ci sono problemi, basta cambiare il titolo e può essere del libro intero. Questo vale anche per una fotografia? Posso rifotografarne un pezzo senza rischio? Mi sono sempre rivolto una domanda: hai riprodotto in fotoincisione a inchiostro nel tuo testo il particolare dell’opera di Duchamp della faccia della Gioconda coi baffi, nell’ipotesi se fossero vivi e attuali Leonardo e Duchamp chi potrebbe farti causa? Secondo me, notoriamente strambo, il copy ha senso solo per la firma. Cioè, se io rifotografo una tua fotografia, con o senza aggiunte, e poi la firmo Michele Smargiassi così la vendo per un milione di dollari commetto un reato perché, ovviamente, ho venduto come mio non una fotografia ma un nome famoso che non ho. E se la firmo Ando Gilardi che poi sarebbe il nome vero del vero autore, non la vendo certo e non commetto reato. La morale? E’ triste: il reato consiste nel vendere le fotografie che non sa fare nessuno ma che si prendono, si rubano ogni volta, con una macchina che la fa. Micheleeee! Meglio ladro che fotografo… [31/03/2011]