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Viva la Repubblica delle nonne

Quanto siamo lontane dal nostro primo voto, noi donne italiane?
Non parlo del voto che ciascuna di noi ha dato a 18 anni, ma della prima volta che le porte dei seggi elettorali si sono aperte anche alla popolazione femminile di questo paese.
Quel giorno è simboleggiato dal 2 giugno 1946, occasione in cui gli italiani, chiamati a decidere per la forma del nuovo Stato post bellico, decisero che, tra Monarchia e Repubblica, era meglio quest’ultima. La ricorrenza si festeggia ogni anno con un cerimoniale che sarebbe bello facesse sfilare, al posto delle Forze Armate (già altrimenti celebrate), tutte noi donne, “armate” di matita copiativa anziché di fucili.

Per molte ragazze, il diritto di voto oggi è una conquista così scontata che neppure lo si esercita più, anzi vi si rinuncia sulla scia del disgusto verso la politica e con un senso di rassegnazione che cancella in un colpo le disperate e tragiche lotte dei movimenti per il suffragio femminile dei primi del ‘900.

Le suffragette erano spesso donne borghesi colte ed emancipate, ma per la loro “insana” richiesta di voto erano considerate come criminali e prostitute, venivano abbandonate dai mariti, perdevano ogni diritto sui figli, erano imprigionate, torturate e alimentate a forza se in carcere protestavano con scioperi della fame. In Italia fu Anna Kulishoff a sostenere la lotta per il voto femminile, ma la sua opera fu vanificata da 20 anni di regime fascista, così la questione, ormai urgente, della “concessione” del voto alle donne, venne risolta solo nel dopoguerra dai partiti che avevano partecipato alla Liberazione.
Temporalmente si tratta solo di pochi decenni, ma culturalmente sembrano passati secoli.
Noi donne possiamo votare solo da 70 anni, da quel 10 marzo 1946 che vide anche le mie nonne recarsi per la prima volta alle urne per eleggere il loro sindaco e, pochi mesi dopo, il 2 giugno appunto, tornarci per dare l‘addio ai Savoia destinandoli all’esilio.
La mia nonna paterna aveva 48 anni – giusto l’età che ho io oggi – 6 figli (di cui 2 soldati, sfuggiti per un soffio alla morte) e un marito socialista. Sono quasi certa però che ascoltasse più i consigli del parroco che quelli di mio nonno.
La mia nonna materna invece era poco più che trentenne, aveva 2 figli piccoli e un marito fascista. Molto provata dalla guerra che aveva affrontato da sola con i bambini mentre mio nonno era in Africa prigioniero degli inglesi, in quel 2 giugno 1946 si era recata al seggio col pancione di 8 mesi: di lì a poco sarebbe nata mia mamma.
Mi chiedo cosa possano aver sentito e pensato in quel frangente. Si trattava delle prime elezioni libere dopo 20 anni di dittatura (e per questo doppiamente desiderate), accompagnate da mille perplessità e raccomandazioni, persino quella di evitare di recarsi alle urne col rossetto per non macchiare la scheda sigillandola. Pare che Papa Pio XII, confidando nel presunto carattere conservatore e “timorato di Dio” delle italiane, fosse molto favorevole all’estensione del suffragio alle donne, prevedendo una valanga di voti per la neonata Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi; per lo stesso motivo invece Togliatti, capo del partito comunista, temeva che la partecipazione femminile al voto avrebbe sbilanciato in “senso reazionario” il risultato, ma il progresso doveva andare avanti e quindi, mai si sarebbe opposto.
Molti invece si cullavano nell’illusione che le donne, un po’ perché occupate nelle faccende di casa, un po’ per via di mariti dispotici, un po’ perché disinteressate alla “cosa pubblica” avrebbero solo aumentato le fila degli astensionisti. Niente di più sbagliato: le votanti, in quella primavera del 1946, furono l’89% delle aventi diritto, cioè il 52,2 % dell’elettorato. L’astensionismo femminile fu inferiore a quello maschile. Inoltre l’affluenza femminile fu più alta nei paesi che nelle città e al Sud più che al Nord, ribaltando tutte le previsioni. Lo stesso giorno che vide le donne scegliere tra monarchia e repubblica, le vide anche venire elette nelle liste politiche: i primi di giugno del 1946 infatti, 21 donne entrarono a far parte dell’Assemblea Costituente che, due anni più tardi, avrebbe donato agli italiani la loro sofferta (e prossimamente sottoposta a modifiche sostanziali) Carta Costituzionale.

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