Le prime tecniche di scrittura documentate della storia sono quelle mesopotamiche: segni impressi su tavolette di argilla con uno strumento chiamato calamo, una canna intagliata in due modi differenti alle estremità, in modo da poter imprimere nell’argilla segni tondi (rappresentanti i numeri, secondo un principio simile a quello dei dadi) e segni sottili (rappresentanti lettere e parole).
Il termine calamo (dal greco kalamos, canna di bambù, giunco) tempo dopo darà il nome al calamaio, cioè al contenitore dell’inchiostro che apparirà solo successivamente, quando la scrittura inizierà ad avvalersi della tecnica pittorica utilizzando pigmenti e fogli (pergamena, legno o carta), e abbandonando i supporti in argilla e l’incisione.
Da quel momento in poi, con pochissime varianti, calamo, penne d’oca e inchiostro furono gli strumenti di scrittura più diffusi e utilizzati nel mondo. La penna d’oca (precisamente la 5^ remigante dell’ala, scelta per la sua dimensione e curvatura naturale) soppiantò il calamo nel V secolo d.C.
Più facile da preparare e derivante da materiale di scarto (le dure penne delle oche, ritenute inutili), questo strumento veniva temperato col fuoco e la sua estremità tagliata obliquamente con molta cura, separando la punta in due “alette”.
L’inchiostro più utilizzato in Europa fu per secoli il cosiddetto “ferrogallico”, preparato con galle di quercia, solfato di ferro e acqua. Nero e quasi indelebile, ha il difetto di essere leggermente corrosivo e, col tempo, scolorisce rivelando l’ossidazione ferrosa e donando ai testi degli antichi manoscritti il caratteristico color marrone.
Anche l’inchiostro di china (composto da nero di carbone, acqua e addensanti come la colla di pesce o la gommalacca), nato in Cina o in India, era conosciuto e utilizzato in Europa con formule diverse, ma il suo uso era concentrato in campo artistico più che nella scrittura, poiché aveva l’inconveniente di una minore fluidità e conseguenti incrostazioni della penna e dei pennini metallici.
Per più di 1300 anni la scrittura manuale si avvalse di penna d’oca, pennini, inchiostro e calamaio.
Fu solo nel corso del XIX secolo che il mondo della scrittura venne rivoluzionato, oltre che dalla messa a punto di moltissime formulazioni di inchiostri di galla e di china, anche dall’invenzione di un nuovo strumento di scrittura: la penna stilografica. Come per ogni invenzione che si rispetti anche intorno alla stilografica è fiorita una leggenda che la vuole nata da un incidente occorso al sig. Lewis Edson Waterman che, perso un contratto al momento della firma, a causa di una macchia di inchiostro fuoriuscita dalla penna, decise di perfezionare lo strumento di scrittura inventando (e soprattutto commercializzando in tutto il mondo) la stilografica per come la conosciamo oggi.
Una testimonianza ben più antica ci racconta che già nel X secolo d.C. il califfo Fatimide al-Muʿizz ordinò la costruzione di una penna munita di un piccolo serbatoio d’inchiostro “… che possa servire a scrivere senza dover far ricorso a un calamaio e il cui inchiostro sia incluso in essa. Una persona potrà riempirla d’inchiostro e scrivere quando voglia. […] L’inchiostro scorrerà solo quando si abbia l’intenzione di scrivere.” Nessuno sa, però, se gli abili artigiani egiziani riuscirono ad accontentarlo.
Anche tra i disegni del nostro Leonardo da Vinci non poteva mancare il progetto di una stilografica, ma il primo brevetto documentato di questo elegante e pratico oggetto è quello francese del 1827, frutto dell’inventiva di un pedagogo e matematico rumeno laureatosi a Parigi: Petrache Poenaru.
L’operazione pubblicitaria di Waterman però, fissò nella vulgata comune il 1884 come data di invenzione della stilografica perfetta. In realtà per tutto il XIX e XX secolo la penna stilografica fu oggetto di perfezionamenti e modifiche fino ad arrivare ai modelli attuali “a stantuffo” inventati dalla Pelikan.
Ma nel frattempo un’altra inarrestabile rivoluzione aveva già travolto il mondo della scrittura: l’invenzione della penna a sfera da parte di Lazlo Biro. Via pennini, via carta assorbente e tamponi, via calamai, via inchiostri “ricaricabili”: sarebbe stato l’ultimo step della scrittura manuale.
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