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Passione Fotoromanzo

Fotoromanzo: passione, sogno e fantasia  bianco nero e poi a colori, elaborazione © Fototeca Gilardi

Ogni epoca è associata nella mente di ciascuno di noi a particolari oggetti, suoni, colori che la caratterizzano. Per me gli anni Settanta resteranno sempre legati ai pantaloni a zampa di elefante, alla carta da parati psichedelica della mia cameretta, a tutte le possibili sfumature del marrone che pervadevano abiti e arredi e … alla pila di fotoromanzi della Lancio nel bagno di mia zia.
Quella del fotoromanzo era, all’epoca, una passione femminile che mi lasciava alquanto perplessa. In casa mia tali “scemenze” non entravano, quindi il contatto con questa particolare forma di narrativa era filtrato da uno sguardo critico, in cui i volti ingessati degli attori che occhieggiavano drammatici dai fotogrammi delle riviste, prima che coinvolgermi nella trama mi suscitavano ilarità. Eppure allora schiere di donne evadevano attraverso le pagine di giornali dai nomi evocativi: Sogno, Bolero, Letizia, Charme, Marina, Jacques Douglas, Idillio, Lucky Martin. Nato nel secondo dopoguerra il fotoromanzo (un “romanzo popolare” per immagini) è tra l’altro un’invenzione tutta italiana. Damiano Damiani, celebre regista, saggista e sceneggiatore di successi cine-televisivi come “Il giorno della civetta” o “La Piovra”, fu il regista anche del set in cui vennero scattati i fotogrammi del primissimo fotoromanzo della storia, uscito l’8 maggio 1947 sulla rivista “Il mio sogno”. Prima di questo romanzo in fotogrammi, solo Grand Hotel aveva provato a raccontare storie d’amore popolari attraverso le immagini, ma si trattava di fumetti, illustrazioni, mentre il vero impatto sul grande pubblico si ebbe passando al cosiddetto “film statico” con l’allestimento di un vero set cinematografico e la scelta di attori belli e sconosciuti. Oltre a Damiano Damiani, l’altro padre del fotoromanzo fu nientemeno che Cesare Zavattini, uno dei più grandi sceneggiatori del cinema neorealista italiano e fondatore, con Luciano Pedrocchi, del primo giornale di fotoromanzi: “Bolero Film”.
Come racconta Ermanno Dotti il successo del fotoromanzo presso il grande pubblico trasse origine dal bisogno di evasione di persone che non avevano strumenti culturali per accedere alla cultura vera e propria, ma nello stesso tempo cercavano un riscatto da una realtà arida.
Le trame dei fotoromanzi, che toccarono la massima tiratura proprio nel corso degli anni Settanta, erano una semplice variante delle storie raccontate negli antichi feuilleton ottocenteschi, dove la fanciulla bella, ingenua e virtuosa, incorreva in disavventure e sofferenze prima di incontrare finalmente l’amore incarnato dall’eroe altrettanto bello, sfortunato e virtuoso.
Se sfogliamo le pagine dei fotoromanzi italiani, dagli anni Cinquanta in poi, non dobbiamo stupirci di trovare la rassegna dei più grandi attori del nostro cinema o di vedere le più note show girl muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo: su questi set si fecero le ossa attrici storiche come Gina Lollobrigida, Sofia Loren e Ornella Muti, attori come Raf Vallone, Alberto Lupo o Vittorio Gassman, ma anche più recenti come Riccardo Scamarcio e Serena Autieri, oltre alla (per l’occasione mora) inossidabile Raffaella Carrà.

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