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Parrucche e parrucconi

ritratti di uomini illustri XVI- XVIII-XIX secolo, elaborazione ©Fototeca Gilardi

Quando pensiamo alle parrucche il nostro immaginario corre immediatamente agli eccessi settecenteschi, a quelle impalcature che sovrastavano le teste delle nobildonne di Versailles, o ai boccoli ricadenti sulle spalle di Re Sole. Certamente tra il XVII e il XVIII secolo le acconciature “artificiali” raggiunsero la loro massima diffusione in Europa, ma la storia della parrucca affonda le radici in un passato ben più remoto: già utilizzata dagli egizi veniva indossata dagli uomini sul capo rasato e dalle donne sui capelli tenuti naturalmente piuttosto corti, per questioni igieniche e climatiche. Le parrucche egizie, indossate solitamente nelle occasioni ufficiali e soltanto da dignitari e nobili, erano prodotte sia con capelli veri (annodati in treccine sottili abbellite con decorazioni di metallo, osso o avorio) sia con fibre vegetali.
Indicatrici di status sociale, nell’Antica Roma le parrucche conquistarono le donne dell’impero che ne indossavano di monumentali, cospargendole persino di polvere d’oro. Questi ricchissimi posticci erano chiamati corymbia, ma tra le parrucche romane si distinguevano anche i crines (semplici ciocche finte usate per decorare le acconciature naturali), i caliendra (trecce finte) e il capillamentum (la vera e propria parrucca che le donne romane preferivano alta e “bionda”, realizzata con capelli provenienti dalle popolazioni nordiche).
Regolarmente vietate da Concili religiosi o da legislazioni sanzionatorie, le parrucche ciclicamente appaiono lungo i secoli raggiungendo intollerabili eccessi, per poi scomparire e rispuntare tempo dopo.
Gli eccessi delle parrucche latine vennero fermati dal Concilio di Costantinopoli del 692 e fino al 1500 ebbero poco appeal. Fu Isabella d’Este a reintrodurne l’uso, con la capigliara una parrucca fatta di capelli e stoffe; ben presto le nobildonne la imitarono riprendendo a indossare parrucche (preferibilmente bionde) realizzate con capelli e fili di lino, seta o lana, coperte di gioielli e ciprie profumate. È noto che la Regina Elisabetta I d’Inghilterra indossasse ricciolute e voluminose parrucche rosse su un cranio semi-calvo a causa, forse, del vaiolo.
Stesso problema di calvizie (ma a causa della sifilide, molto diffusa ai tempi) riportò in auge la moda delle parrucche tra gli uomini del XVI secolo, ma bisognerà aspettare l’epoca barocca per veder apparire le cascate di pesanti riccioli con le quali re Sole si pavoneggiava a corte, riccioli prima naturali, ma ben presto artificiali a causa di una inevitabile calvizie che il sovrano non poteva permettersi di sfoggiare. Ben presto la moda si diffuse in tutte le corti, tra nobili e dignitari che facevano a gara tra chi aveva parrucche più pesanti ed elaborate; inizialmente scure, con boccoli fino al petto e cotonate sulla sommità del capo, le parrucche maschili divennero bionde, grigie e infine bianche.
Solo nel Settecento iniziarono ad essere più sobrie, con due grossi riccioli ai lati del capo e il resto dei capelli (finti) raccolti in un codino o una corta treccia. Persino i bambini delle classi più agiate, abbigliati come adulti fin dalla più tenera età, appaiono in quest’epoca gravati dalla canizie artificiale di candide parrucche fatte di crine di cavallo.
Nel frattempo però la moda delle parrucche femminili stava pian piano surclassando quella delle acconciature maschili. All’epoca non era raro che le donne dei ceti più poveri vendessero i loro preziosi e lunghissimi capelli per poter sopravvivere: i capelli veri erano merce ricercatissima dai “coiffeur”, cioè dagli acconciatori di parrucche, capaci di costruire vere e proprie sculture di capelli, arricchite da nastri, fiori, gioielli, uccelli impagliati, piume ed ogni sorta di oggetti decorativi. La regina Maria Antonietta in più occasioni si fece allestire parrucche di dimensioni e foggia straordinari, per celebrare eventi militari, politici o modani: le celebri pouf a la circonstance (parrucche per l’occasione).
Tonnellate di farina, gesso e argilla vennero usate nel corso del Sei-Settecento per incipriare le parrucche europee: polveri intrise di profumi, ma anche colorate di rosa o azzurro per la gioia delle vanitose fanciulle dell’ancien régime: prima cosparse di grasso e modellate, le parrucche venivano indossate e infine coperte di polvere profumata, ben attenti a coprirsi il viso con un cono di carta per non soffocare nella nuvola di farina.
Alla fine fu proprio una tassa sulla “farina da parrucca” imposta dal primo ministro inglese William Pitt nel 1795 che mise fine alla moda delle acconciature posticce. Con l’avvento della Rivoluzione francese, sul continente la caduta delle teste coronate (e imparruccate) aveva già decretato la fine della moda settecentesca e la passione delle parrucche incipriate era stata sostituita da quella per la ghigliottina, ma in Inghilterra la moda decadde perché nobili e altoborghesi iniziarono uno “sciopero delle parrucche” contro la nuova tassa del ministro Pitt: primo a dare l’avvio alla protesta fu il conte di Bedford che tolse la parrucca, si impomatò ad arte i corti (e scarsi) capelli e, seguito da molti altri, trasformò la protesta in una nuova moda relegando, da allora, l’uso della parrucca bianca alle aule dei tribunali, e l’uso dell’aggettivo “parruccone” a sinonimo di “antiquato”.

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