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Odori sacri e profani

L’arte di miscelare gli aromi nasce in Medio Oriente e si diffonde verso Occidente, in Grecia e a Roma, grazie alle campagne militari di Alessandro Magno.
Il profumo è già protagonista nella civiltà egizia, come intermediario fra l’uomo e gli dei. I maggiori templi dell’Antico Egitto erano dotati di appositi locali per fabbricare le essenze sacre, fondamentali in ogni rito. Si riteneva infatti che il profumo purificasse e mettesse in contatto con le divinità, inoltre rappresentava un elemento irrinunciabile dell’imbalsamazione dei defunti. Ogni mattina i sacerdoti procedevano alla pulizia delle statue divine, poi ungevano ed imbellettavano il loro viso. Dal piano religioso l’uso del profumo passò col tempo anche alla cura personale. In quest’epoca le due resine più note in Egitto sono l’incenso e l’arbusto della mirra, ma il profumo utilizzato dai faraoni, il “Kyphi”, è composto da più di 60 essenze.

Nell’Antica Grecia le profumazioni preferite restano incenso e mirra, anch’esse legate a doppio filo ai momenti importanti del culto nelle comunità greche: dopo le offerte di animali si bruciano infatti rare sostanze profumate; la nascita, il matrimonio, la morte vengono accompagnate da fumigazioni e unzioni profumate dalle virtù purificatrici. I defunti avvolti in lenzuola odorose, sono arsi o sepolti con preziosi recipienti pieni di profumo e piante aromatiche come la rosa, il giglio, la violetta, simboli di vita eterna.  Si crede che la presenza delle divinità sia annunciata da particolari fragranze e durante i banchetti, si lavano i piedi degli invitati in segno di ospitalità, poi si offrono loro ghirlande di fiori, vini profumati, unguenti alla rosa e all’olio di garofano.
A Creta, prima di partecipare ai famosi spettacoli con i tori, gli atleti ungono il loro corpo con olio profumato.
Rimedi a base di salvia, malva, cumino vengono somministrati dai medici sottoforma di suffumigi, frizioni e bagni. Dopo le abluzioni ai bagni pubblici, uomini e donne profumano i loro corpi di olii all’iris e alla maggiorana.

Gli antichi romani, inizialmente critici verso le “mollezze” dei Greci, pian piano ne assumono le abitudini: iniziano a bruciare incenso durante i riti funebri e, ai bagni pubblici, fanno largo uso di olii e piante odorose. Trascurando presto l’aspetto religioso del profumo, ne colgono immediatamente la valenza commerciale.
Presso di loro si diffonde l’uso del “sapo”, una pasta a base di grasso di capra e di cenere di saponaria, antenato del sapone.  Vengono composti trattati sugli odori e, a partire da materie prime come il giglio bianco, il narciso, il cardamomo, la rosa, l’iris, il sandalo e da sostanze animali come il musc, il castoro, e da diverse resine, preparano unguenti, acque aromatiche, profumi, pastiglie e polveri profumate.
La comparsa del vetro nel XI secolo a.C. ed il suo utilizzo come contenitore di sostanze profumate, costituiscono la principale innovazione dell’impero romano, inoltre, dalla fine del III secolo i Romani sviluppano la tecnica della distillazione sganciando la produzione del profumo dall’utilizzo di basi oleose.

Dopo la caduta dell’Impero romano (476 d.C.) la cultura del profumo scompare quasi del tutto in Occidente, ma resta viva in Oriente. Gli Arabi raffineranno la tecnica della distillazione attraverso l’invenzione dell’alambicco e l’utilizzo dell’alcool per l’estrazione degli aromi, allargando enormemente la gamma dei profumi disponibili in commercio.
Solo in epoca medievale, alla fine delle Crociate, il profumo farà ritorno nelle vasche e nella cosmetica degli europei. Parallelamente si sviluppa un’intera economia legata alle essenze profumate e alle spezie.
Dal X al XV secolo, Venezia è il grande centro della distribuzione e del commercio marittimo delle spezie in tutta l’Europa. Farmacisti, speziali, erboristi e venditori di aromi fanno affari d’oro.
Sulle tavole medievali si diffondono le  bacinelle per sciacquarsi le mani (ricordiamo che si mangia ancora con le dita!) piene di acqua profumata con petali di rosa e di viola, o con infusi di salvia, camomilla, origano, rosmarino e buccia d’arancia. Le dame nascondono sotto le loro vesti o nella biancheria sacchetti profumati alla violetta, alla lavanda, al fiore d’arancio e, nei periodi di peste, si ricoprono i pavimenti di erbe profumate e si inalano speciali palline di spezie per proteggersi dal contagio.

Dal XII secolo la città di Grasse, in Provenza, già famosa per la sua produzione di pelli e guanti, si specializza nella creazione e nel commercio di pelli profumate diventando col  tempo, capitale europea del profumo. Bisogna dire che un contributo fondamentale allo spostamento della “capitale” del profumo dall’Italia alla Francia venne dal trasferimento di Caterina de’ Medici alla corte parigina quando, nel 1533, andò sposa al futuro re di Francia, Enrico II di Valois. Insieme a Caterina infatti viaggiava un’intera corte di cuochi, sarti e artigiani, tra i quali spiccava Renato Bianco, celebre profumiere fiorentino che diffuse la sua arte in tutta la città contribuendo alla nascita di una miriade di profumieri che aprirono botteghe in tutta Parigi per provvedere a una società bramosa di essenze profumate.

La scoperta di nuove rotte per le “Indie” e di un nuovo continente pieno di nuove essenze fece il resto, tagliando fuori l’Italia dal centro del commercio dell’epoca e aprendo il nostro olfatto a fragranze esotiche ancora largamente usate nell’arte profumiera.

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