Mentre divampano le discussioni se dare o meno il proprio cognome a cani, gatti e agli altri animali d’affezione, con tutte le conseguenze del caso, tornano alla memoria celebri animali passati alla storia grazie alla fama e all’attaccamento ai loro padroni.
Si racconta ad esempio che Napoleone Bonaparte possedesse ottanta cavalli, tutti di razza araba, con il manto bianco o molto chiaro addestrati a sopportare situazioni di guerra con tanto di spari, sciabole agitate e bandiere svolazzanti al vento. Il più famoso lo vediamo nel dipinto di Jacques-Louis David: Marengo, dalla folta criniera bionda, che Napoleone cavalcherà fino alla disfatta di Waterloo.
Altri celebri destrieri sono passati alla storia: Incytatus il cavallo proposto senatore da Caligola, Asturcone il cavallo di Giulio Cesare, Marsala il cavallo di Garibaldi, Favorito il cavallo di Carlo Alberto di Savoia, Copenhagen di Wellington, ma il più celebre di tutti è il grande Bucefalo, compagno di battaglia di Alessandro Magno.
La leggenda narra che Alessandro domò il gigantesco e selvaggio Bucefalo riuscendo a capire che l’animale era spaventato dalla sua ombra e voltandolo verso il sole prima di incitarlo. Da allora, Bucefalo non si lasciò montare da nessun altro e Alessandro non ebbe altro destriero per vent’anni; il loro sodalizio fu spezzato solo dalla morte del cavallo. Alessandro lo fece seppellire con gli onori militari e sul luogo della sua sepoltura, fu fondata una città col suo nome.
La speciale affinità tra Alessandro e Bucefalo, sempre secondo la leggenda era dovuta al fatto che i due erano nati lo stesso giorno, a distanza di dieci anni l’uno dall’altro.
Al grande condottiero macedone è legato anche il nome di un cane, Perìtas che, secondo alcune cronache dell’epoca, dopo aver dimostrato il suo valore prima contro un leone e poi contro un elefante, salvò la vita al suo padrone durante uno scontro contro le truppe di Dario III di Persia.
Anche la piccola Liline, una delle cagnoline di razza papillon che accompagnavano sempre il re di Francia Enrico III, avrebbe potuto salvare il suo padrone dalla morte. La notte del 10 agosto 1589 Enrico diretto all’assedio di Parigi, si era accampato con il suo esercito a Saint Cloud. Prima che il re si ritirasse per la notte, venne ammesso al suo cospetto Jacques Clément, un frate che aveva chiesto di vederlo. La cagnolina preferita di Enrico, Liline, dimostrò un’antipatia immediata per quell’uomo e iniziò ad abbaiare in modo così fastidioso che dovette essere portata via dalla tenda. La bestiola aveva fiutato giusto: il monaco estrasse un coltello e lo pugnalò allo stomaco.
Freud e Wagner invece si fidavano così tanto dei loro cani, da farsi “aiutare” sul lavoro.
A Freud piacevano i chow-chow e il più importante fu Jo-Fi. Il grande psicanalista, convinto che i cani fossero ottimi giudici del carattere delle persone permetteva a Jo-Fi di assistere alle sedute di analisi ed aveva notato che, se il paziente era calmo e tranquillo, il cane gli stava sdraiato vicino, se invece era pieno di tensioni, manteneva le distanze.
Wagner invece era solito suonare alcune note al pianoforte e poi alzare gli occhi per vedere se il suo cane Peps, seduto sul suo sgabello, approvava. Dopo aver notato che il cane manifestava reazioni diverse a certi passaggi musicali, all’artista venne l’idea – insolita per quell’epoca – di associare nelle sue opere, particolari melodie a certi personaggi, ambienti o stati d’animo.
Sir Isaac Newton, lo scopritore della legge di gravità, aveva invece una vera passione per i gatti. Mentre conduceva gli esperimenti sulla luce, proprio per la sua micina Marion, inventò la gattaiola.
Newton, infatti, lavorava in un attico dotato di una sola finestra che veniva chiusa spesso perchè per il suo esperimento aveva bisogno del buio. La cosa irritava alquanto la sua adorata gatta che miagolava disperata per non poter entrare ed uscire liberamente dallo studio. Per risolvere il dilemma, Newton ebbe l’idea di fare un buco nella porta, mettendoci davanti una piccola anta in modo che Marion potesse entrare ed uscire quando voleva: nacque così la gattaiola.
Ed ecco un gatto esploratore.
Un soriano maschio, dallo strano nome femminile di Mrs. Chippy, accompagnò Ernest Shackleton nella spedizione Endurance (1914-1917) in Antartide. Salito a bordo grazie a Harry McNish (detto Chippy), il carpentiere della nave, per tenere a bada i roditori, venne soppresso quando l’Endurance, ormai intrappolata dalla banchisa, non era più in grado di navigare e l’equipaggio fu costretto a proseguire a piedi.
Ma lo scettro dell’originalità va a Carlo Magno. Il grande imperatore nel 797 inviò un’ambasciata, presso il califfo di Bagdad. Dopo un viaggio durato cinque anni la missione tornò carica di doni regalati dal califfo, tra cui anche Abul-Abbas un elefante asiatico che giunse alla corte dell’imperatore presso Aquisgrana il 1º luglio dell’anno 802 impressionando grandemente Carlo Magno. Dalle descrizioni pervenuteci, si trattava probabilmente di un elefante bianco, quindi probabilmente un raro esempio di albinismo, che era considerato in Asia un oggetto di valore inestimabile e prerogativa esclusiva dei re e dei principi. Carlo Magno, nei pochi anni di vita che rimasero al povero elefante (sottoposto al rigido clima nord europeo) mostrò con enorme orgoglio il suo speciale animale a tutti i principi e regnanti che capitarono alla sua corte, facendolo passare alla storia.
© riproduzione riservata