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Medicina pitagorica

Pitagora e le piante medicinali, elaborazione ©Fototeca Gilardi

Tutti noi conosciamo Pitagora come filosofo e matematico, ma pochi sanno che i suoi studi sulla natura e sulla farmacologia sono una pietra miliare della storia della medicina.
Pochissimo si conosce della sua vita. La maggior parte delle notizie su Pitagora derivano infatti da cronache successive, da leggende che lo vedono come figlio di Apollo e figura semi divina, e dalle testimonianze dei pitagorici, suoi allievi.
Nato probabilmente a Samo alla fine del VI secolo a.C. Pitagora (il cui nome potrebbe essere in realtà un soprannome poiché significa “colui che persuade la piazza” o “annunciatore del Pizio”, cioè di Apollo) viaggiò molto formandosi presso diversi maestri, tra cui Ferecide e due celebri filosofi dell’epoca: Talete e Anassimandro, di Mileto. Altre cronache raccontano dei suoi soggiorni in Egitto presso vari templi in cui poté approfondire la filosofia, la matematica, la cosmologia, ma anche tutta una serie di rituali e pratiche igieniche che formarono la base dei suoi principi di medicina.
Stabilitosi a Crotone fondò una scuola filosofico-religiosa attorno cui gravitava la vita di tutta la città. I suoi allievi, maschi e femmine, si dividevano in “matematici” (che vivevano all’interno di quello che si presentava come una specie di monastero) e “acusmatici”, una folla di seguaci che si recavano alla scuola pitagorica solo per studiare durante il giorno.
Le regole all’interno della scuola erano molto severe e gli allievi erano tenuti al massimo riserbo sulla dottrina pitagorica, tanto che si racconta che un’allieva di nome Timycha si tagliò la lingua piuttosto che rivelare il motivo per il quale Pitagora aveva vietato ai suoi discepoli l’uso delle fave.
Nessuno sa di preciso il perché di questa prescrizione, probabilmente collegata alla forte incidenza del favismo in Calabria e Sicilia, ma sulla questione fiorirono varie leggende, una addirittura vede Pitagora addomesticare un bue dopo averlo “disintossicato” dalle fave, fino a renderlo così docile da portare le sporte appese alle corna durante la spesa o addirittura recarsi a casa col suo carico, autonomamente.
Al di là delle leggende, numerose erano le prescrizioni igieniche che Pitagora trasmise ai suoi allievi, tutte basate su un equilibrio matematico tra gli opposti principi fisici e geometrici di cui i pitagorici ritenevano costituito il cosmo.
Le malattie potevano essere prevenute mantenendo l’armonia con un’igiene rigorosa e precisa, mediante esercizi ginnici, giochi e passeggiate all’aria aperta e alla luce solare, moderandosi in ogni cosa, eliminando la carne e i cibi eccitanti o indigesti dalla dieta, ascoltando musica che, simbolo di armonia, secondo Pitagora era in grado di prevenire ogni infermità.
In caso di malattia però il celebre filosofo indicava diversi farmaci. Addirittura alcuni dicono che avesse composto un libro sulle virtù magiche delle piante.
Plinio riporta che avesse una predilezione per la scilla (pianta velenosa oggi utilizzata per i cardiotonici), che appendeva all’architrave della sua porta per impedire i malefìci e che aveva ribattezzato epimenidium avendo conosciuto le sue proprietà grazie ad Epimenide. La leggenda dice che avendo assunto con regolarità l’aceto scillitico Pitagora raggiunse la veneranda età di 117 anni. Altre due piante care al Pitagora medico erano il cavolo e l’anice. Quest’ultimo, in infusione nel vino, veniva raccomandato contro i morsi dello scorpione e, tenuto in mano, guariva l’epilessia. La senape veniva usata contro l’emicrania e come rimedio ai morsi di serpenti e insetti. La fioritura di altre piante era stata collegata dal grande matematico ad alcune patologie stagionali, che oggi abbiamo identificato come asma e allergia ai pollini.
La fiorente e feconda scuola pitagorica venne però distrutta durante una sommossa popolare che costrinse Pitagora e i suoi discepoli a fuggire da Crotone. Molti furono massacrati (alcuni dicono lo stesso maestro) altri iniziarono a peregrinare qui e là e, ritenendosi ormai liberi dal vincolo del segreto, si misero ad esercitare la professione di guaritori itineranti, con il nome di “periodeuti”.
Questo fu un evento che cambiò la storia, poiché la diffusione dei medici pitagorici iniziò a minare il potere dell’allora classe medica ufficiale, quella dei sacerdoti asclepiadei, che risiedevano nei templi di Esculapio. Questi luoghi di culto erano magnifici, ricchissimi, venivano costruiti esposti a sud, in luoghi che abbondavano di acque termali o di boschi. I malati da sempre accorrevano al tempio di Asclepio e, dopo la purificazione, il digiuno, le abluzioni passavano la notte nell’abaton (“lo spazio sacro”) dormendo su pelli di capra dove un sogno mandato dal dio avrebbe rivelato loro la cura. I sacerdoti erano abilissimi a creare la giusta atmosfera, spegnendo pian piano le lampade e lasciando strisciare liberi sul pavimento, tra i malati, i serpenti sacri ad Asclepio, o facendo sparire dall’altare le offerte, con la complicità del buio.
Si può capire bene come la diffusione degli abilissimi medici itineranti pitagorici costituì una concorrenza spietata. La questione si risolse in una vera e propria guerra, che costrinse gli asclepiadei a rinunciare al segreto che copriva da sempre i misteri delle loro cure.

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