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Medicina animale

17_44_27_settembre_17_BLG_©FototecaGilardi

Nel XVII secolo la salute della popolazione era nelle mani di figure distinte tra loro, ciascuno convinto che la propria arte fosse la migliore: i medici, i farmacisti e i famosi chirurghi-barbieri che si occupavano di estrazioni dentarie e lesioni minori. A Parigi, sotto il regno di Luigi XIV, la diatriba tra i vari “curatori” si fece ad un certo punto tanto accesa da dilagare per tutta la Francia.
I farmacisti sostenevano che la loro arte fosse ben più antica della medicina, poiché piante e animali da cui si ricavavano i rimedi farmacologici allora in uso, esistevano ben prima dell’uomo.
I medici ribattevano citando Eraclito, per il quale la saggezza umana consisteva nell’osservare e imitare la Natura, e affermavano che anche la medicina era più antica dell’uomo dal momento che gli animali, guidati dall’istinto, erano stati i primi a praticarla e di conseguenza l’uomo l’aveva imparata da essi.
L’origine animale di tante arti umane, tra cui la medicina, non era un’idea nuova, lo stesso Ippocrate riteneva che fosse nata dall’imitazione inconsapevole dei fenomeni naturali. Aristotele indicava l’uso del dittamo per cauterizzare le ferite, come una scoperta nata osservando l’utilizzo che ne facevano le capre (“Si dice […] che a Creta le capre selvatiche, quando vengono colpite da una freccia, cerchino il dittamo. Sembra, infatti, che questa pianta abbia la capacità di espellere le frecce che le si sono conficcate nel corpo”). Collegamento confermato anche da Plutarco, che fa un ulteriore passo avanti: “le capre cretesi, quando ingoiano il dittamo, riescono facilmente a espellere le frecce che le hanno colpite. In questo modo hanno consentito alle donne gravide di capire che questa pianta ha proprietà abortive”.  Plutarco riporta anche l’utilizzo che l’orso fa dell’Arum per guarire l’intestino provato dal lungo digiuno dopo il letargo.
L’umanista Pierio Valeriano nel 1556 pubblica un’opera in 60 volumi sui simboli egizi, precorritrice della celebre “Iconologia” di Cesare Ripa, zeppa di descrizioni di animali e piante in cui riporta le relazioni tra i comportamenti animali e svariati rimedi medici umani, il più conosciuto quello dell’uso del clistere osservato già da Ippocrate e riportato da autori medievali: “passeggiando un giorno Ippocrate lungo il lido del mareriporta Bartolomeo da Salernovide un certo uccello che mangiava moltissimi pesci ne’ poteva digerirli; allora hauriens aquam maris rostro infundebat per anum, cuius infusione, intestini remolitis, per anum exquilabat (presa dell’acqua marina col becco la infuse nell’ano, grazie a ciò, sciolti gli intestini, evacuò). Vedendo ciò Ippocrate presuppose che anche gli uomini potessero fare lo stesso e di lì il gran medico concepì l’idea del clistere” .
Moltissimi altri autori dell’epoca invitavano ad imitare il comportamento degli animali per curare malattie, dal celebre chirurgo francese Ambroise Paré, a Giovan Battista Porta, osservando che spesso sono i cani che ci indicano molte piante adatte a guarire l’intestino e lo stomaco, come la lattuga, il finocchio, il rabarbaro, oppure quando sono febbricitanti si buttano nell’acqua fredda, ma l’osservazione si estende anche a galline, anatre, cicogne (che usano l’origano per liberarsi lo stomaco), pernici, leoni , elefanti e anche asini che per guarire il fegato mangiano le felci, oppure le rondini che “hanno scoperto” le proprietà della chelidonia nel guarire la vista, o l‘ippopotamo che pulisce le ferite sfregandosi sulle rocce e ispirando il famigerato “salasso“.
Non si sa chi, ai tempi, vinse la diatriba medici vs farmacisti, ma come spesso accade, dobbiamo ringraziare i nostri amici animali che, fin da tempi remoti, ci hanno guidato sulla via della guarigione.

(fonti: Alberico Benedicenti “Malati, medici e farmacisti” vol. 1 – Ed. Hoepli, 1947
Luigi Granata “Introduzione al simbolo della fede” – 1730)

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