(Cartoline a Ponzone) a cura di Lost Dream Editions
«Notti malinconiche, nelle quali con occasione di assistere à Condannati à morte si propongono varie difficoltà spettanti à simile materia. E fuori di tale contingenza saranno di utile à chi confessa. Con un’Appendice, nella quale si pone il modo di preparare i Rei à morire Christianamente. Et un’esame generale di conscientia, che seruirà per fare meglio la loro Confessione. Opera del P. Giacinto Manara della Compagnia di Giesù. A gl’Illustrissimi Signori Maestri Consolatori nell’Arciconfraternità di Santa Maria della Morte della Città di Bologna. In Bologna M.DC.LVIII presso Gio. Battista Ferroni. Con licenza de’ Superiori».
Si è voluto citare per esteso le informazioni di copertina di «Notti malinconiche» di Giacinto Manara ( Bologna 1658 ) perché costituiscono un’ottima introduzione al tema di questo post. L’autore è un gesuita, un collega dell’attuale papa “francescano”. Il saggio, consultabile in rete nell’edizione originale ( http://books.google.it/books?id=u8Ve7O2Yb2cC&pg=PA18&lpg=PA18&dq=notti+malinconiche&source=bl&ots=L6TVPNbiuN&sig=V472P4MDaXl7Pdt3wbMQi9p0YXU&hl=it&sa=X&ei=X5kLU8W-NYGX4wSKgYHACA&ved=0CE4Q6AEwCg#v=onepage&q=notti%20malinconiche&f=false ), è un manuale per i “confortatori”, le persone che si assumevano il delicato compito di aiutare i condannati a morte a «morire Christianamente».
Il prontuario del gesuita perderà di attualità dopo circa due secoli, nel 1870, quando i confortatori della Confraternita di San Giovanni decollato non dovranno più aiutare a morire nessun condannato, non perché Pio IX si fosse «Christianamente» ravveduto, ma semplicemente perché i Savoia gli avevano sottratto, insieme al territorio, i sudditi cui fare tagliare la testa: l’ultima esecuzione capitale, a Roma, è del 9 luglio 1870. Quasi cent’anni dopo, nell’agosto 1969, Paolo VI abroga la pena di morte, abrogazione che sarà definitivamente riconfermata da Giovanni Paolo II il 12 febbraio 2001: il papa tedesco attualmente in pensione non si è mai pronunciato contro gli stati nei cui ordinamenti legislativi era prevista, poi fino ad ora imitato, fra un libro e un sorriso, dal collega “francescano”.
Tempo fa avevo intitolato un capitolo di un saggio sullo specchio “L’arte di arrampicarsi sugli specchi”, perché ci vuole davvero una rara abilità e fedeli di rara ignoranza per riuscire a conciliare la pena di morte con il comandamento che vieta di uccidere. Abili esegeti hanno trovato qualche pezza giustificativa in scritture del primo secolo, ma è inutile girare intorno al cespuglio di more, perché sarebbe come volere sostenere che i commenti sono più autorevoli del testo biblico.
La fotografia, è questo il punto cui volevo arrivare, ha fatto la sua comparsa nello stato Vaticano prima che scomparisse la pena di morte, inflitta «Christianamente» o meno; ha fatto in tempo a registrare i boia dei papi nell’esercizio del loro squallido “lavoro”, mentre i governanti di Sua Santità si preoccupavano che negli apparecchi dei fotografi non lasciassero le loro impronte ottiche le impudiche compagne di Adamo. E questo è terribile per me, come uomo e come fotografo. Quelle lugubri fotografie non possono essere “cancellate” dalle immagini di un papa che libera in piazza San Pietro delle candide sprovvedute colombe davanti a altrettanto sprovveduti fedeli, che niente sanno di un passato per loro oscuro e delle “notti malinconiche” di un gesuita scritte circa un secolo prima che l’ordine cui apparteneva fosse soppresso da papa Clemente XIV.
Il pannello centrale del Polittico della Misericordia, dipinto da Piero della Francesca, mostra la Madonna che apre con le braccia il mantello azzurro per proteggere otto fedeli inginocchiati, quattro uomini e quattro donne. Di solito l’interesse di chi osserva si concentra sul viso della Madonna, ma c’è un particolare inquietante che, se notato, conferisce un sapore diverso al dipinto: il volto di uno dei quattro uomini è coperto da un cappuccio nero. Il polittico era stato infatti commissionato al grande pittore dalla Confraternita della Misericordia di Borgo Sansepolcro, nata per aiutare i condannati a morte a «morire Christianamente».
«Il capolavoro dipinto da Piero della Francesca per la misericordia di Sansepolcro – scrive Adriano Prosperi in “Delitto e perdono. La pena di morte nell’orizzonte mentale dell’Europa cristiana. XIV-XVIII secolo”, Einaudi 2013 – fu la versione più alta di un’iconografia diffusa in pitture e bassorilievi nelle chiese e nelle cappelle delle confraternite. I confortatori si presentavano nelle carceri e sui patiboli parlando in nome di quella figura che le immagini rappresentavano col grande manto aperto ad accogliere il loro gruppo vestito di saio bianco o nero, in supplice atteggiamento di preghiera. Era sulla base di un rapporto speciale con lei che i membri delle conforterie si rivolgevano ai “pazienti” come mediatori».
Sta di fatto, ed è questa la mia malinconia, che le immagini della Madonna della Misericordia sono ammirate nei musei da visitatori che non sanno a cosa servissero, mentre le calotipie prelevate dai fotografi romani quattro secoli dopo, rischiando multe sequestro delle attrezzature e, se riprodotte o vendute, addirittura il lavoro forzato, sono acquistate semiclandestinamente sulle bancarelle dai collezionisti degli incunaboli ottici della fertilità: e a Ando Gilardi la diffusa ignoranza della storia delle immagini, che fa tutt’uno con l’ignoranza della storia, faceva venire, e giustamente, la nausea.
Nell’immagine: Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, pannello centrale (1445-1462), Borgo Sansepolcro, Museo Civico.