Scienziato e cortigiano, naturalista e letterato, medico personale di due Granduchi di Toscana, Ferdinando II e Cosimo III, accademico dell’Arcadia, del Cimento e della Crusca, Francesco Redi fu uno degli ultimi ingegni veramente enciclopedici della cultura occidentale. Un tecnico ed un uomo di cultura in grado di passare con disinvoltura dall’anatomia di un animale alla decifrazione di un manoscritto, dallo studio del veleno di vipera a quello di un affresco, dall’analisi della fisiologia alla composizione di un sonetto. Nei rapporti con gli altri era modesto, affabile, oltremodo cerimonioso ed ossequioso; molto austero nei modi, amava la riservatezza, virtù indispensabile per avere fortuna nella vita. Scriveva in proposito ai fratelli: ” … una volta imparino a comprendere, che non si può fare il maggiore errore in questo mondo che far sapere i propri fatti agli altri”.
Nonostante questo, nel profondo dell’animo, Redi covava anche una spiccata vena burlesca, che lo portava d’istinto ad architettare ogni genere di beffe. Insofferente al cerimoniale di corte che sottraeva inutilmente tempo alle sue ricerche, trovò comunque il tempo di scrivere il ditirambo “Bacco in Toscana” (1685), un allegro elogio del vino che conobbe enorme successo in tutta Europa. Il testo, famoso per la descrizione dell’ebbrezza di Bacco, immaginato ad assaggiare i vini toscani, offre un divertente catalogo dei vini regionali del tempo. Francesco Redi, nonostante fosse astemio, nel lunghissimo poema pro-vino si scagliò contro tè, caffè, sidro, birra e vari distillati stranieri, togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa con velenose critiche verso personaggi di corte avari e protocolli noiosi.
Ma non contento, l’integerrimo scienziato arrivò addirittura a falsificare, durante i lavori alla Crusca, centinaia di voci del Vocabolario inventando di sana pianta autori e testi del Trecento e del Quattrocento, di cui affermava di possedere i relativi manoscritti e dai quali diceva di riprendere gli esempi. La beffa è stata scoperta solo tre secoli più tardi, nello sconcerto generale, rivelando la vera natura di Redi: un ossequioso e coltissimo cortigiano che, nutrendo un sovrano disprezzo per l’ambiente di corte mediocre e futile, se ne prese gioco nel modo più sprezzante possibile, godendo in segreto della propria superiorità intellettuale.
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