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L’Etrusca Disciplina

divinità etrusca maschile con barba, ©Fototeca Gilardi

Ancora parzialmente avvolto nel mistero, quello della religione etrusca è uno dei più affascinanti nodi storici che attendono di essere sciolti. Quel poco che conosciamo sulla devozione e sui riti dei Rasna, chiamati Tyrsenoi (Tirreni) dai Greci e Tusci (Etruschi) dai Romani, ci viene riportato da storici come Tito Livio, Varrone, Cicerone e Seneca. Di difficile interpretazione sono i rari reperti archeologici giunti fino a noi, mentre gli antichi testi religiosi etruschi – 6 diversi libri che raccoglievano minuziose indicazioni in merito a riti, cerimonie e tecniche divinatorie – sono purtroppo andati perduti. La religione del misterioso popolo che diede ben tre re alla nascente civiltà romana, era una religione “rivelata” e trascritta in un codice che i Latini conoscevano come l’Etrusca Disciplina. Convinti che la divinità mutevole, creatrice e distruttrice, si esprimesse attraverso le forze della Natura, gli Etruschi volevano interpretare nel giusto modo i “segni” che li circondavano, per obbedire alla volontà degli Dei e ripristinare l’equilibrio compromesso dalla scorrettezza delle azioni umane. Erano profondamente fatalisti, per loro qualsiasi cosa poteva costituire un segnale divino: una piuma di uccello che cadeva dal cielo, una lucertola che sfrecciava nel prato, il rombo di un tuono in lontananza. La loro conoscenza del creato derivava dalle rivelazioni di figure divine o semi-divine che insegnavano agli uomini l’arte di trarre vaticini dai movimenti del cielo, della terra, e degli animali.
La prima divinità che, secondo la leggenda, aveva guidato alla divinazione il popolo etrusco era stato un neonato, un semidio uscito dal solco di un aratro di un contadino di Tarquinia; il fanciullo divino chiamato Tages (Tagete), spesso raffigurato con due serpenti avvolti alle gambe, o canuto come un vecchio saggio, era vissuto solo il tempo necessario per trasmettere agli uomini l’arte di predire il futuro, poi era tornato nelle profondità della terra.
Ai suoi doni di sapienza si devono 4 testi fondamentali della religione etrusca: i “Libri Haruspicini” sulla lettura delle viscere degli animali, i “Libri Acherontici” relativi alle conoscenze sull’aldilà, i “Libri Ostentaria” che regolavano modalità e tipologie di offerte agli Dei, mentre nei “Libri Fatales” si scandivano i momenti salienti del tempo concesso dal destino al popolo Etrusco prima di scomparire, tempo calcolato in 10 secoli.
Dalla ninfa Vegoa erano venuti altri due fondamentali codici: i “Libri Fulgurales” che svelavano la scienza dei fulmini e dettavano le regole per predire, evitare e provocare eventi naturali (terremoti, inondazioni, tempeste), e i “Libri Rituales” zeppi di indicazioni astronomiche, regole di agrimensura, indicazioni per la corretta fondazione di città e consacrazione di santuari, per l’organizzazione di eserciti e tecniche di guerra, per la realizzazione di opere idrauliche, e così via.
Il sapere, gestito da un Collegio di àuguri (interpreti del volo degli uccelli), aruspici (interpreti delle viscere degli animali) e fulguratores (interpreti della provenienza e della traiettoria dei fulmini), veniva tramandato così nel tempo solo a coloro i quali si rivelavano dotati di particolari doti profetiche e divinatorie. Pare che l’imperatore Augusto conservasse nel tempio di Apollo palatino una copia tradotta in latino dell’Etrusca disciplina, ma il prezioso reperto venne in seguito fatto distruggere da Teodosio e Onorio.

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