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L’esotico respiro ottocentesco

L'incontro di Stanley e Livingstone, 1871 - stampa colorata XIX sec  elaborazione ©Fototeca Gilardi.

La nostra apertura o chiusura al mondo sembra avere, nel tempo, il ritmo del respiro che si espande e si contrae. Molte volte nel corso della storia l’umanità si è lanciata in esplorazioni, troppo spesso guidate dall’avidità, ma anche in viaggi fantastici all’insegna della conoscenza, mossi dalla curiosità del diverso da sé. Ora siamo in una fase di ritiro dal mondo, di chiusura in noi stessi, oppressi dal timore dell’altro, ostinati nel rifiuto di tutto ciò che non collima con quel che è già familiare e non possiamo certo dare la colpa di questa chiusura alla recente epidemia che ci ha segregati in 20 metri quadri, perché da troppo tempo ogni scostamento dalla norma ci fa paura, ci fa arrabbiare, ci fa reagire con violenza. Sembra quasi impossibile che gli europei di due secoli fa, che tendiamo a immaginare come assai più tradizionalisti e chiusi rispetto a noi, fossero così affascinati dall’Oriente, dalle culture indigene, da perdute civiltà millenarie e da irraggiungibili atolli tropicali, da vedere schiere di letterati, artisti o semplici avventurieri attraversare il globo fra mille pericoli e a rischio della vita per immergersi in realtà totalmente ignote senza fare una piega. Sono migliaia le tavole illustrate dell’epoca che riportano minuziosamente fattezze e abiti di popoli fino ad allora sconosciuti, evidentemente prodotte dalla fascinazione esercitata dall’idea romantica di una purezza perduta che poteva essere ritrovata solo nei luoghi più inaccessibili della Terra. Nel corso dell’Ottocento la moda, la pittura, l’architettura, la narrativa portano tracce evidenti di una contaminazione culturale da parte di un mondo “esotico”, misterioso e affascinante, dove pericolo e bellezza divenivano sinonimi, dove i tratti somatici non europei risultavano immancabilmente seducenti solo per il fatto di essere insoliti, dove l’espressione spontanea della natura “primitiva” dell’umanità veniva idealizzata e contrapposta a una noiosa e opprimente società borghese divenuta rigida, ipocrita e bigotta.
Nelle ricche dimore occidentali per lungo tempo fu impossibile esimersi dall’arredare almeno un salottino in stile cinese, o dal farsi ritrarre in costume turco o indiano; gli ambienti, i tessuti, gli accessori e persino la carta da parati risentirono di motivi africani o mediorientali, e i giardini si riempirono di piante esotiche e animali tropicali.
Gli studi etnografici, le scoperte archeologiche, gli studi antropologici (con tutti i difetti di una visione rigidamente eurocentrica del mondo “civile”) ebbero uno sviluppo senza precedenti tanto da accompagnarci oltre la metà del XX secolo, quando l’ultimo guizzo “orientaleggiante” riempì di colori gli abiti degli “hippies” per poi infrangersi e spegnersi nell’orgogliosa e autistica ammirazione del nostro mondo ultra tecnologico, progressivamente sempre più asettico e chiuso all’imprevisto.

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