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Lavandare

Lavandaia al lavoro in un torrente

Oggi basta riempire un cestello, scegliere un programma e pigiare un bottone, ma fino a 50 anni fa, fare un bucato non era così semplice!
Il lavaggio della biancheria era un’operazione lunga e faticosa.
Innanzitutto il bucato settimanale impegnava una massaia per due giorni interi: i panni venivano disposti (dal più piccolo al più grosso) a strati, in un mastello detto conca da bucato perché sul fondo aveva un’apertura, poi bisognava ricoprirli con un telo robusto sul quale veniva versata  la cenere bianca del camino opportunamente setacciata, dopo di che si versava l’acqua calda (non bollente) a poco a poco, fino a che si inzuppavano tutti i panni.
Attraverso il foro del mastello si recuperava il liquido detto ranna che, scaldato ancora sul fuoco, si riversava poi nella conca nella quale erano stati sistemati i panni da lavare, con un ciclo di riempimenti e svuotamenti che richiedeva un’intera mattinata di lavoro, al fine di ottenere una ranna limpida.
Il giorno seguente, i panni così tenuti a mollo, venivano estratti dal mastello, riposti in cesti o in un lenzuolo, e portati al fiume o al lavatoio comune. Qui venivano insaponati, sfregati e sciacquati sbattendoli ripetutamente sulle pietre o su tavole di legno e posti nell’acqua corrente.
Una bellissima scena de “La gatta Cenerentola” mostra proprio quest’ultima fase del lavoro delle lavandaie, ritmata da un canto ipnotico in un crescendo molto suggestivo.
I canti delle lavandaie ricorrono spesso nei racconti di chi da bambino ha avuto l’occasione di assistere al loro lavoro e sono celebrati anche da una struggente poesia di Pascoli intitolata, appunto “Lavandare”.
Un dettaglio non trascurabile di tutta questa immane fatica a cui erano sottoposte le nostre antenate è quello relativo ai tessuti: la biancheria non era paragonabile a quella attuale. I corredi erano costituiti soprattutto da teli robusti e pesanti, spesso fatti in casa al telaio e scelti per durare anche più di una generazione.
A questo punto è facile comprendere perché si facesse il bucato “in gruppo”: non si trattava di un’esigenza “ricreativa”, ma pratica.  Si insaponavano, sciacquavano, strizzavano e stendevano le lenzuola di una famiglia, poi quelle dell’altra, aiutandosi reciprocamente e, in primavera, quando il carico di bucato da fare arrivava a comprendere coperte, trapunte, giacche e cappotti invernali da riporre nelle cassapanche per il cambio di stagione, si vedevano finalmente comparire ai lavatoi anche gli uomini di casa.
E su quest’ultimo punto la moderna tecnologia ha miseramente fallito!

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