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La Strage di Melissa

croce di legno posta sulla tomba di bracciante ucciso, strage di Melissa 24 ottobre 1949 Fotografia di Ando Gilardi ©Fototeca Gilardi

Molte pagine buie del passato sono dimenticate e le loro preziose tracce restano custodite solo negli archivi storici. Questo è il caso della Strage di Melissa, quando contadini che chiedevano pane e lavoro tornarono a casa con colpi di mitra nella schiena … e qualcuno non tornò affatto.

È l’ottobre del 1949. La guerra è finita da poco e tutto il Sud è in fermento per l’imminente Riforma Agraria: i decreti del ministro dell’agricoltura Fausto Gullo, già dal 1944 hanno concesso le zone incolte dei latifondi meridionali ai contadini, che versano in condizioni disumane.
In Calabria i proprietari sono particolarmente sordi alle sollecitazioni del nuovo Governo della Repubblica e nella piana di Crotone, dove si trova il piccolo paese di Melissa, più di metà della terra è nelle mani di soli 4 grandi latifondisti tra cui il Barone Berlingeri. Ignorando il parziale esproprio napoleonico del 1811 la famiglia Berlingeri si è già pian piano ripresa ciò che spettava ai contadini i quali lavorano per meno di 100 giorni all’anno nutrendosi di quel poco che resta dopo aver consegnato nelle mani del “padrone” i frutti del loro lavoro e le migliori primizie. Si alimentano di pane e legumi, e vedono la carne solo a Natale e Pasqua. Senza scarpe tutto l’anno, con vestiti ricavati dalle divise militari, vivono in tuguri senza luce e acqua, senza servizi, senza riscaldamento se non quello della poca legna del camino in cui cucinano, dividendo lo spazio con gli animali.
Contro questo stato di cose i sindacati dei contadini, il cui confine con i partiti usciti dalla guerra (PCI, PSI e Partito d’Azione) è ancora molto labile, chiamano la popolazione alla rivolta e all’esproprio pacifico del latifondo di Fragalà, di proprietà del Barone Berlingeri, incolto da 14 anni e distante 11 km da Melissa, per tornare a renderlo produttivo e sfamare le famiglie di mezzadri stremati.
Il 29 ottobre 1949 uomini, donne, bambini, muniti di attrezzi agricoli, a piedi o a dorso d’asino si dirigono verso Fragalà. Portano 3 bandiere tricolori, non bandiere di partito: sanno che il Governo della neonata Repubblica Italiana è dalla loro parte e vogliono gridarlo anche alla polizia che senz’altro sarà stata chiamata dai proprietari a difesa del fondo abbandonato … “Viva la polizia dell’Italia repubblicana (che finalmente si ricorda dei nostri figli)!” … ma al Ministero degli Interni c’è Mario Scelba, che passerà alla storia per le sue sanguinose repressioni operaie e contadine volte a difendere il paese dal “pericolo comunista”.
Il giorno prima della manifestazione i celerini hanno già molestato molte donne, insultato e provocato molti uomini, hanno messo a soqquadro la sede di Federterra (il sindacato) e sono stati informati dai latifondisti dell’estrema pericolosità di quel mucchio di straccioni e ladri. La strategia nei confronti dei più deboli, è sempre noiosamente la stessa da secoli, evidentemente.
Così la mattina del 29 ottobre l’orda di famiglie scalze e sorridenti, con il loro seguito di animali si reca a Fragalà e inizia a dissodare la terra, ma viene accolta da bombe e lacrimogeni, infine caricata dalla polizia. Si sprecano le raffiche di mitra che vedranno la maggior parte dei feriti, colpiti alle spalle. Muoiono tre giovani contadini: Francesco Nigro (29 anni), Giovanni Zito (15) ed Antonella Mauro (23).
Nessun vero seguito venne dato alla denuncia della strage. La polizia riferì l’insostenibile tesi di un’aggressione da parte dei contadini, ma nonostante le evidenze, la strage di Melissa giace tuttora negli archivi della memoria, senza che sia stata mai fatta giustizia.

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