Il più strano bicchiere che la leggenda ricordi è un teschio, quello che il re longobardo Alboino porse crudelmente alla moglie Cunigonda: il teschio del padre di quest’ultima, sconfitto in battaglia. Al di là di macabri racconti, la storia del bicchiere inizia proprio con
l’utilizzo di oggetti cavi presenti in natura: legni e cortecce, conchiglie, corni. Prima dell’affermarsi dell’arte vetraria presso i Fenici, nell’antichità si beveva in tazze di terracotta. Non si deve però pensare a rozzi contenitori: anche a quel tempo esistevano diversi tipi di coppe per bere, a seconda del contesto e del liquido che dovevano raccogliere. Nell’antica Grecia ad esempio esistevano 6 tipi di bicchieri di terracotta: il kylix (una coppetta larga e bassa con due piccoli manici e una base tonda), il kantharos (una coppa dai bordi alti, con stelo e due grandi manici), lo skyphos (una tazza somigliante alle nostre, da colazione, con piccoli manici orizzontali sul bordo), il kyatos (una tazzina svasata con un lungo manico, simile ad un mestolo), il rython (a forma di lungo calice o di corno, utilizzato nei rituali) e il kothon (una tazza panciuta simile ad un portacenere, con una piccola imboccatura e un singolo manico ad anello).
Con la diffusione dei contenitori in vetro da parte dei Fenici, i costosissimi bicchieri trasparenti si diffondono in tutto il mediterraneo sulle mense dei nobili, mentre il popolo continua a bere in tazze di terracotta, legno o metallo. I bicchieri di cristallo toccano l’apice di preziosità e bellezza in età pompeiana, ma solo dal XVI secolo il monopolio veneziano del vetro inizia a produrre bicchieri di ogni forma e colore, preziosamente decorati, incisi, con steli lunghi e sottili, e manici merlettati, dettando anche i canoni (tuttora in vigore) per degustare le varie bevande: il calice da vino, il flute per gli spumanti, il baloon per cognac e brandy, la coppa per lo champagne, la pinta e il boccale per la birra.
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