Spesso dimentichiamo che, nell’antichità, la mancanza di strumenti tecnici che oggi diamo per scontati, rendeva la vita quotidiana molto diversa; pensiamo ad esempio all’assenza di orologi in un’attività come quella della cottura dei cibi, che coinvolgeva tutti ogni giorno.
Come si misuravano i tempi di cottura, che so, di un dolce che oltretutto andava cotto in un forno a legna privo di termostato?
Mentre pesi e misure non costituivano un grosso problema e le dosi, per quanto approssimative, erano conosciute, la questione cottura rimase un segreto nelle mani di pochi fino alla pubblicazione dei primissimi libri di cucina nel XIII secolo.
Per valutare il calore raggiunto dal forno esistevano vari espedienti, usati fino ad oggi: un rimedio infallibile per stabilire la temperatura del forno acceso era quello di passare una penna di gallina bianca nel forno senza toccare né suolo né cielo, con un giro veloce; se togliendo la penna, questa risultava bruciacchiata, significava che il forno era ancora troppo caldo e bisognava attendere ancora un po’ per introdurre pane o dolci.
Sui tempi di cottura, Maestro Martino (cuoco personale del patriarca di Aquileia, amico del Platina e autore del primissimo libro di cucina della storia) nel suo volume “De arte Coquinaria” (1456) dà indicazioni che oggi possono apparire bizzarre, ma che vanno contestualizzate nell’epoca in cui operava: un numero variabile di preghiere (Pater Noster o Miserere), da recitare attendendo che le pietanze cuociano.
Questo ingegnoso espediente permetteva di regolarsi sulla giusta cottura tramite uno “strumento” noto a chiunque (es. «et un’altra volta lo lassarai bollire per spatio quanto diresti un miserere»). La tecnica fu utile a lungo visto che, per potersi affidare ai primi orologi ad uso casalingo, bisognerà aspettare ancora tre secoli.
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