Mi sono sempre chiesta che cosa avesse a che fare con il “credere”, un mobile come la “credenza”, con le sue vetrine piene di tazzine e teiere, i cassetti con le tovaglie e le posate e i vani pieni di pentole.
Usato in cucina per contenere piatti e stoviglie, questo oggetto di arredamento prende la forma oggi conosciuta, in Emilia Romagna, nel XVII secolo. In epoca medievale era invece un mobile di legno basso e lungo, che veniva posto nella sala dei banchetti e utilizzato per sistemare i vassoi con le varie portate destinate agli ospiti durante pranzi di riguardo. Il suo nome è davvero legato al concetto di fede e di fiducia, infatti deriva dall’antica locuzione “fare la credenza” o “dar la credenza” che si riferisce all’assaggio dei cibi da parte del “Maestro credenziere”, un servo fidato al quale era assegnato l’ingrato compito di testare i cibi per dimostrare agli ospiti che fossero privi di veleno.
Questa abitudine, comprensibile in un’epoca in cui l’avvelenamento dell’avversario o del nobile da “scalzare” era all’ordine del giorno, si diffuse in tutte le corti. Gli accordi tra signorotti locali si celebravano frequentemente con sontuosi banchetti in cui il rischio di morire avvelenati veniva scongiurato in questo modo: il Maestro credenziere, vestito con una livrea diversa da tutti gli altri domestici, entrava nella sala del banchetto e si disponeva a fianco del mobile (che in seguito si chiamerà appunto credenza) dove erano stati collocati tutti i piatti con i cibi e assaggiava ogni portata prima che fosse servita. Se tutto era regolare dichiarava: “Signori, vi è stato offerto servizio di credenza“.
Ovviamente, perché gli ospiti fossero certi della propria incolumità, il servitore doveva rimanere nella sala dei ricevimenti per tutta la durata del banchetto, dritto sulle proprie gambe, come assicurazione vivente.
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Ho 75 anni ma non voglio morire, si imparano sempre cose nuove sul sorriso sardonico, i veleni, xchè si chiama credenza e tanto altro. Grazie