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Il racconto dei racconti – Tale of tales

Tutti conosciamo la fiaba di Cenerentola, quella del Gatto con gli stivali, la Bella Addormentata e molte altre, ma pochi sanno che all’origine di questi racconti c’è un’opera seicentesca, scritta in dialetto napoletano, che costituì la traccia seguita dai Grimm, da Perrault e Andersen. Si tratta de “Lo cunto de’ li cunti” di Giovan Battista Basile, 50 novelle popolari strutturate sullo stile del Decamerone, in 5 giornate, durante le quali diversi personaggi si intrattengono con narrazioni piene di draghi e castelli, streghe, orchi, principesse e magia. Questa è l’opera che ha ispirato il magnifico film di Garrone appena presentato al Festival di Cannes: “Il Racconto dei Racconti”, dove 3 delle 50 novelle (“La regina“, “La pulce“, “Le due vecchie“) ci trasportano in un mondo onirico, magico e spaventoso in cui egoismo, possessività, menzogna, trovano il loro inesorabile contrappasso. Già nel 1967 un altro celebre regista si era cimentato nella trasposizione cinematografica del “Cunto de’ li cunti”: Francesco Rosi che con il suo “C’era una volta” prese la fiera popolana Sofia Loren e la fece sposare all’orgoglioso principe Omar Sharif, dopo mille vicissitudini e inganni, sullo sfondo di una Napoli governata dagli spagnoli, devota a santi “volanti” e vecchie streghe dispettose. Pochi anni più tardi fu invece la volta di Roberto De Simone che nel 1976 mise in scena, con la Nuova Compagnia di Canto popolare, una coltissima e divertente “Gatta Cenerentola”, opera musicale in dialetto napoletano, anch’essa tratta dal “Cunto de’ li cunti” in cui Zezolla (poi soprannominata Cenerentola) niente affatto mite, istigata dalla maestra di ricamo, uccide la matrigna chiudendo violentemente il coperchio di una grossa cassapanca sulla sua testa e spezzandole il collo. Poi la maestra di ricamo, sposerà il padre della ragazza, portandosi appresso sei figlie e relegandola al ruolo di serva, infine Cenerentola sposerà il principe grazie alle fate.
Nell’opera di Basile, è la terribile malinconia della principessa Zoza a dare origine al racconto delle cinque giornate.  Zoza non ride mai, ma un giorno l’atto stizzoso e volgare di una vecchia la fa scoppiare in una grande risata. Infuriata la vecchia le scaglia una maledizione: non avrà più pace fino a quando non avrà sposato il principe di Caporotondo, che giace in catalessi. Solo la donna che in tre giorni riempirà di lacrime l’anfora posta sulla tomba del principe, lo farà risuscitare e potrà sposarlo. Per sette anni la principessa viaggia senza sosta fino a quando trova la tomba: in meno di due giorni riversa litri di lacrime nell’anfora, ma prima di riempirla, vinta dalla stanchezza si addormenta. Una schiava sottrae a Zoza l’anfora, e in un attimo finisce di colmarla. Il principe risuscitato la conduce a palazzo e la sposa. La principessa Zoza, protetta dalle fate che le hanno donato una noce, una castagna ed una nocciola fatata, va in cerca del suo principe, ingannato dalla schiava: una volta aperte, dalla noce esce un nanetto che canta meravigliosamente, dalla castagna una chioccia con dodici pulcini d’oro, dalla nocciola una bambola che fila oro.
Zoza regala ogni cosa alla schiava divenuta regina, ma la bambola infonde in lei un tale desiderio di sentire raccontare fiabe che il re, per accontentarla, chiama dieci vecchie, le quali narrano ciascuna una favola al giorno. All’ultimo giorno Zoza si sostituisce ad una di esse, narra la propria storia, smaschera la schiava e sposa il principe.

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