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Il potere della “didascalia”

(Cartoline a Ponzone) a cura di Lost Dream Editions

Giustamente un mio caro amico sostiene che bisognerebbe chiamarla con il suo nome, vale a dire il nome con cui ogni popolo la chiama: per esempio, noi dovremmo chiamarla “canapa” e gli inglesi “hemp”. Gli americani, intesi come statunitensi, la chiamano invece “marijuana”: così stigmatizzandola come una sostanza “esotica”, straniera, da guardare con diffidenza e sospetto come tutto quello che viene da fuori, da lontano, che non appartiene alla propria cultura. E coltura. Ma questa è una gigantesca menzogna: è come sostituire a una fotografia la didascalia di un’altra che ha solo un vago rapporto con quella.
«George Washington, padre degli Stati Uniti,» ci informa Vittorio Zucconi con il suo articolo “Dalla Beat Generation al «vizietto» dei presidenti”, in “la Repubblica” del 9 gennaio 2014, coltivava la canapa «nella sua piantagione in Virginia». Quella pianta era quindi familiare, e, quando sarà posta fuori legge, continuerà a essere presente nella cultura di quel paese. Scrive ancora Zucconi: «Clinton, il magnifico bugiardo, tentò di spiegare che aveva “fumato, ma non aspirato”, formula ovviamente risibile» ( ma, aggiungerei, perfettamente in linea con chi fa le cose a metà, come avere un «rapporto sessuale improprio», sono parole sue, con una stagista cui la madre previdentemente ha consigliato di non portare il tailleur in lavanderia ). «Ma Obama», continua il suo elenco il giornalista, «ha ammesso di essersi fatto di “Mary Jane”». Peccato che poi Vittorio Zucconi, invece di andare più a fondo su questo uso “presidenziale” della canapa, abbandoni il terreno politico per addentrarsi in quello religioso: «Quello che sta andando in fumo è la mistica della canna ( … ) Resta il fumo, ma scompare il brivido del peccato». Sarebbe stato decisamente meglio se avesse continuato a sfogliare l’album di “fotografie” che mostrano il rapporto con la canapa di uomini di potere (e, perché no, sarebbe potuto andare alla ricerca anche di qualche scienziato ) invece di passare a una pinacoteca di “immagini sacre”, con un crescendo mistico che tanto sarebbe piaciuto a una ignorante, ma devota, maestra leggere nello svolgimento di un tema da lei assegnato.
Nell’immagine:
Eugène Atget, Versailles. Fontana delle Sirene, 1903.
( da Andreas Krase e Hans Christian Adam, Eugène Atget. Parigi, 1857 – 1927, Taschen 2008 )
«Per chi ha mangiato l’hascisch, Versailles non è troppo grande, né l’eternità dura troppo a lungo». (Walter Benjamin, Sull’hascisch, Einaudi 1975 )

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