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Il pasto bucolico

pic-nic in famiglia 1900 circa - elaborazione ©Fototeca Gilardi

Complici le restrizioni igieniche post-Covid, torna in auge il pic-nic sui prati che concilia piacere gastronomico e adeguato distanziamento. I nostri prati e boschi pullulano di turisti variamente (ir)rispettosi dell’ambiente, che pasteggiano immersi nella natura riscoprendo questa antica abitudine caduta un po’ in disuso.
Nato nel XVII secolo, il termine pic-nic (dal francese picque-nique) allude a uno “smangiucchiare” o piluccare, più che al mangiare vero e proprio. La parola inizia a essere utilizzata in riferimento ai pranzi all’aperto allestiti al termine delle battute di caccia, ma l’abitudine di pasteggiare sotto gli alberi era già conosciuta dagli antichi romani che amavano organizzare scampagnate nei pressi di grotte, sorgenti e corsi d’acqua immersi nei boschi. Pare che anche la Regina Maria Antonietta amasse molto queste merende informali che organizzava sovente negli immensi giardini di Versailles, ma il periodo d’oro dei pranzi sull’erba fu l’Ottocento che vide entrare il pic-nic tra i soggetti preferiti dagli impressionisti. Tutti conoscono il celebre Dejeuner sur l’herbe (1863) di Manet – capostipite dei vari “pranzi sull’erba” e colazioni all’aperto immortalate da numerosi artisti dell’epoca – che suscitò enorme scandalo per aver mostrato un nudo femminile in un contesto non mitologico o allegorico, accostato a due uomini completamente vestiti e in una situazione quotidiana come quella di un normalissimo pic-nic sul fiume. Così mentre gli artisti francesi si sbizzarrivano dipingendo varie merende bucoliche Alexandre Dumas, tanto appassionato di letteratura quanto di cucina, stendeva un breve elenco dei cibi più adatti alla nuova moda borghese nata secoli prima a corte; niente paste fredde o frittatine, niente tonno e pomodori, ma … hors d’oeuvre di melone, pasticcio di pollame e prosciutto, lepre in salmì à la minute, stufato di coniglio giovane alla cacciatora, cosciotto d’agnello con fagioli bianchi, insalata, crema alla paesana, torta farcita, formaggio, frutta e pasticcini, il tutto innaffiato da chablis, fleury, champagne, caffè e cognac.
I più pratici inglesi di epoca vittoriana invece, muniti di “Manuale del perfetto pic-nic”, riempivano i loro cestini con una gran quantità di sandwich, diversi a seconda dell’occasione e della compagnia: a volte spalmati di burro aromatizzato con fiori, più spesso ripieni di formaggio e noci, ma anche farciti di frutta, zenzero o confettura. Ovviamente il cestino del pic-nic doveva comprendere una quantità di dolci fatti in casa, solitamente crostate, ciambelle e torte alla crema.
Non che mancassero i famosi pasticci di carne, nei pic-nic inglesi: insieme a vari tipi di crocchette e polpettine erano riservati ai più raffinati pranzi sull’erba, quelli in cui nel pomeriggio si poteva vedere un cameriere allestire un piccolo fuoco per preparare il classico e immancabile tè delle cinque. E per confermare il gusto macabro dell’epoca, non era raro che una famiglia borghese si ritrovasse a consumare il proprio pic-nic sul prato del cimitero, nei pressi della tomba di un caro defunto, tradizione d’altronde ben conosciuta agli antichi greci e romani, ma anche ai messicani che proprio così festeggiano il loro giorno (o meglio la notte) dei morti.

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