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I 750 anni di messer Durante

750 anniversario della nascita di Dante Alighieri

750 anni fa veniva al mondo il nostro più grande poeta, padre della lingua italiana: Dante Alighieri.
Dalla sua stessa “voce” apprendiamo che nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi tra il 21 maggio e il 21 giugno, a Firenze, nel 1265. Fu letterato, filosofo, politico, visse esule dalla sua amata città, scrivendo per anni, tra una corte e l’altra, la sua celebre “Divina Commedia”, racconto allegorico di un viaggio di ritorno alla fede, attraverso l’Aldilà, così come lo immaginava un uomo medievale. Questa magnifica opera (ossessione di generazioni di liceali) ha sedotto molti grandi pittori e artisti nel corso dei secoli. Le primissime

immagini che conosciamo del viaggio di Dante attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso, sono quelle dei commentatori dell’opera, prima di tutti il figlio di Dante, Jacopo Alighieri, e Guido da Pisa, ma più avanti troviamo molti celebri artisti impegnati a dare corpo e colore alle terzine dantesche: Domenico di Michelino che compose una magnifica allegoria della Divina Commedia; Sandro Botticelli che realizzò la prima vera illustrazione organica del poema; Luca Signorelli, Giovanni Stradano, Alessandro Vellutello e Federico Zuccari, che dipinse grandi tavole a matita e acquerello, con tanto di citazioni, fino ad arrivare, in epoca romantica, alle suggestive opere di Füssli, Blake, Koch ed Overback. Anche Delacroix illustrò magnificamente la Divina Commedia, ma senz’altro il più conosciuto autore di tavole per l’opera dantesca fu il francese Gustave Doré, pittore e incisore, che con tratti marcati e realistici diede corpo alle scene salienti di quest’opera.
Ma perché un viaggio dall’Inferno al Paradiso, costellato di momenti tragici e sublimi, venne chiamato da Dante, commedia? Messer Durante (Dante era un diminutivo) doveva essere un bell’originale per scegliere un titolo tanto fuori luogo, eppure quando il “sommo poeta” decise di battezzarla “Comedia” (l’aggettivo divina venne aggiunto da Boccaccio più tardi) lo fece a ragion veduta: la lingua volgare, scelta per comporre l’opera, era infatti quella usata dal popolo quotidianamente, e rappresentava uno stile più adatto ad argomenti licenziosi e alla commedia appunto, piuttosto che al racconto epico di un viaggio verso Dio. Questa scelta fa capire come Dante fosse un artista proiettato verso il futuro, indifferente alle critiche di poeti più ortodossi, come Petrarca, il quale disprezzava l’utilizzo letterario del volgare. Eppure Dante non poteva che usare il linguaggio “naturale” degli italiani, per narrare questa suggestione mistica, per accompagnare il lettore attraverso quel mondo che ogni giorno i popolani vedevano negli affreschi e nei mosaici delle loro cattedrali e che sentivano nelle prediche. La Divina Commedia è infatti figlia del suo tempo, ci dona squarci della cruda realtà medievale che non di rado mostrava per le strade derelitti, sofferenza, malattie, violenza e torture, ma che credeva fermamente in un aldilà palpabile e reale. Potremmo anche dire che è un’opera illustrata “ante-litteram”, ancora prima di essere composta, infatti Dante per le sue immagini oniriche si ispirò, oltre che alla realtà, anche ad opere visionarie e profetiche come quelle di Gioacchino da Fiore, che ritornano con precisione nel suo avventuroso viaggio dal buio alla luce, attraverso molti simboli carichi di significato.
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