Quella degli occhiali da vista è un’invenzione che si è fatta attendere molto, storicamente, rispetto alla scoperta del vetro e della sua capacità di ingrandire le immagini. Mentre il vetro trasparente era già conosciuto dai Fenici, non abbiamo una contestuale traccia di un suo utilizzo come lente, mentre da alcuni scritti di Seneca e di Plauto si evince che, secoli dopo, nell’antica Roma fossero utilizzate delle sfere di vetro o dei contenitori di cristallo pieni di acqua, come lenti d’ingrandimento.
Nell’alto medioevo è noto l’utilizzo di pezzi di quarzo con i quali i monaci si aiutavano nel lavoro di miniatura, ma si dovrà arrivare alla fine del XIII secolo per veder apparire dei veri e propri occhiali da vista.
Francesco Petrarca (1304 – 1374) evidentemente sensibile all’impatto estetico del recente strumento tecnico, in tarda età così si lagnava del loro utilizzo: “… non mi vanto di aver avuto una grande bellezza, ma in gioventù potevo piacere […] passati i sessanta, fui costretto a ricorrere con riluttanza all’aiuto delle lenti”. Sappiamo che in epoca medievale primi occhiali erano costituiti da due lenti tonde, racchiuse da una montatura di metallo e si ponevano a cavallo del naso come dei pince-nez; quando non venivano usati erano racchiusi in una custodia che si teneva appesa alla cintura. Per veder comparire degli occhiali muniti di stanghette bisognerà aspettare il 1700.
Alcuni ritengono che l’inventore degli occhiali da vista sia stato Ruggero Bacone (1214 – 1294), ma sappiamo che il celebre scienziato, filosofo, alchimista inglese, per ingrandire i testi utilizzava ancora le semisfere di vetro alla maniera degli antichi. Tuttavia notizie delle “lapides ad ligendum” (lenti di ingrandimento) e di “roidi da ogli” (occhiali da vista) spuntano alla fine del 1200 nei Capitolari delle Arti Veneziane. Il segreto della loro produzione era custodito gelosamente dalla Repubblica di Venezia, ma le cronache dell’epoca raccontano di un certo frate pisano “… Fra Alessandro della Spina, uomo modesto e buono il quale sapeva rifare le cose che vedeva fatte; egli fece gli occhiali che altri aveva fatti per primo e non voleva comunicarne il segreto, e a tutti lo comunicò con cuore lieto e volentieri. Era abile nel cantare, nello scrivere, nel miniare e nella meccanica”.
Pare si debba proprio a lui la produzione dei primi ocularia fuori dall’ambito veneziano, così come la loro successiva diffusione. Anche Francesco Redi conferma la notizia riportando queste parole del beato Giordano da Rivalta, un domenicano fiorentino contemporaneo dell’ingegnoso frate Alessandro: “Non è ancora vent’anni (siamo nel 1305) che si trovò l’arte di fare gli occhiali che fanno veder bene, che è una delle migliori arti e più necessarie che il mondo abbia […] io vidi colui che prima la trovò e fece”. Presumibilmente allude proprio al suo confratello Alessandro della Spina che osservando un paio di occhiali veneziani, tanto provò e tanto fece, da sottrarre per sempre alla potentissima Repubblica il monopolio della fabbricazione degli occhiali da vista.
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