Oltretorrente, è il nome di quella parte vecchia della città di Parma che nel 1922 fu protagonista insieme ai rioni popolari Naviglio e Saffi, dei cosiddetti “Fatti di Parma”, l’ultima resistenza vittoriosa degli antifascisti di fronte agli assalti organizzati degli squadristi capeggiati da Italo Balbo.
Questi i fatti.
L’Alleanza del Lavoro, una vasta coalizione di diversi sindacati, dopo due anni di scontri aveva proclamato per il 1° agosto 1922 uno sciopero generale nazionale, per protestare contro il moltiplicarsi delle violenze fasciste verso circoli, cooperative, sindacati, giornali, amministrazioni popolari e sedi del movimento operaio.
La feroce reazione delle camicie nere non si fece aspettare e la penisola fu messa a ferro e fuoco.
Solo su Parma il Partito Fascista era riuscito a mobilitare circa 10.000 uomini, guidati da Italo Balbo, già protagonista di analoghe spedizioni militari a Ravenna e a Forlì e, sebbene l’Alleanza del Lavoro avesse sospeso lo sciopero il 3 agosto, le aggressioni non fecero che aumentare.
Il popolo di Parma però, memore delle passate violenze e forte dell’esperienza di guerra dei suoi reduci, decise di resistere ad oltranza: uomini, donne e bambini iniziarono ad innalzare barricate e a scavare trincee negli stretti vicoli, per difendere le sedi delle organizzazioni e le case, lanciando tegole dai tetti e munendosi di pietre.
In quei pochi giorni di guerriglia, nei quartieri popolari i poteri passarono agli Arditi del Popolo comandati da Guido Picelli, deputato del Partito Socialista già fondatore delle Guardie Rosse, e da Antonio Cieri, ufficiale pluridecorato e anarchico.
Questa formazione, composta da forze anarchiche, comuniste e da gruppi di difesa proletaria, seppur abbandonata dal Partito Comunista dell’epoca ad eccezione di Gramsci, venne affiancata dalla Legione proletaria Filippo Corridoni, da confederali, popolari, repubblicani e socialisti e da tutto il popolo parmense, senza distinzione di ceto.
Raccontano testimoni dell’epoca che le barricate furono fatte con carretti, lastre di pietra, tavole, banchi di scuola e di chiesa, che le armi erano più che altro fucili da caccia e che i bottegai davano da mangiare ai resistenti pane e carne.
Alla fine si conteranno 5 morti fra gli Arditi del Popolo: Ulisse Corazza, consigliere comunale del P.P.I, Carluccio Mora, Giuseppe Mussini, Mario Tomba e il giovanissmo Gino Gazzola la cui morte, si racconta, “scatenò la furia di Antonio Cieri il quale, baionetta fra i denti e bombe a mano, seguito da popolani e donne”, spezzò l’accerchiamento da parte degli squadristi al rione Naviglio.
A questo punto anche il capo della polizia locale, Lodomez, prese le distanze dai fascisti e da Balbo suggerendo che fosse meglio per le camicie nere abbandonare la spedizione in quanto, lui ed i suoi sottoposti, non erano più in grado di garantirne l’incolumità.
La notte tra il 5 e il 6 agosto le squadre fasciste smobilitarono e lasciarono velocemente la città: Balbo abbandonò Parma in automobile seguito dagli spari degli Arditi e dal suono delle campane che annunciavano la fine degli scontri.
Molti anni dopo lo stesso Balbo, trasvolatore dell’Atlantico, tornò a Parma da eroe, ma il popolo parmense, con gran disprezzo, lo accolse rinfrescandogli la memoria con questa scritta irriverente: “Balbo, hai attraversato l’oceano, ma non il Torrente Parma.”
Fonti:
Eros Francescangeli, “Arditi del Popolo”
Pino Cacucci, “Oltretorrente”
© riproduzione riservata