Siamo tutti pronti a lamentarci delle pessime maniere ormai dilaganti: nessuno che ti saluta per strada, nessuno che ti aiuta se sali sull’autobus con la spesa o il passeggino, tutti che guidano come se fossero soli in strada, tutti pronti ad aggredire e rispondere in modo volgare. Indubbiamente non si può negare che l’atmosfera sociale sia drasticamente peggiorata, ma a tavola, quando ci ritroviamo tra amici e parenti, come ci comportiamo? Siamo proprio sicuri di rispettare un minimo di galateo almeno in una situazione così intima?
Ci sediamo a tavola con le mani pulite? Ci ricordiamo di non parlare con la bocca piena o non infilare le nostre posate nel piatto comune? Forse alcune abitudini sono radicate, ma ci abbiamo messo parecchio a impararle.
Le prime regole di galateo a tavola infatti risalgono al medioevo. Anche allora la principale prescrizione del buon comportamento era quella di lavarsi le mani, sia prima che dopo il pasto. A questo scopo erano messi a disposizione delle ciotole (la cui acqua veniva cambiata ogni tanto), chiamate acquamanili, usate anche tra una portata e l’altra. Inutile dire che per i poveri, privi dei preziosi acquamanili, la prescrizione era la stessa, ma costituiva più che altro un riguardo religioso nei confronti del cibo, dono di Dio, che per rispetto non si poteva toccare con le mani sporche.
Le tavole dei nobili erano apparecchiate con cura, ma con pochi oggetti: una grande tovaglia, a volte anche il tovagliolo, un boccale ogni due persone, la saliera (perché la carne non veniva salata in cucina), taglieri e spesse focacce che fungevano da piatti comuni o, più raramente, individuali. Le posate in realtà non esistevano: la forchetta apparve alla corte angioina di Napoli fra tre e quattrocento, il cucchiaio era più comune, ma non diffuso. Normalmente si mangiava con le mani e le zuppe si raccoglievano con grossi pezzi di pane.
Si raccomandava di fare piccoli bocconi, utilizzando solo le tre dita della mano destra (pollice-indice-medio) prendendo il cibo direttamente dal vassoio comune e intingendolo nella salsa.
Anche toccare il sale con le dita era considerato scortesia: per salare il boccone si doveva intingere la punta del coltello pulito nella saliera. Un coltello rigorosamente personale e portato da casa, con il quale si infilzava anche la carne per portarla alla bocca, usanza introdotta dai barbari. Era però consentito gettare ossa e altri avanzi sotto al tavolo, per i cani che circolavano intorno alla mensa.
Nel volume “L’addestramento di un Gentiluomo”, un anziano signore dà una serie di raccomandazioni ad un giovane che vuole ben figurare nell’alta società del XII secolo, regole non molto differenti dalle nostre:
Dopo aver lavato le mani non toccherai niente se non ciò che mangerai.
Non trangugerai subito il tuo pane, ma aspetterai che venga servito il primo piatto.
Non è corretto ficcarsi in bocca pezzi così grossi che i frammenti cadano a destra e a sinistra; questo è prova di rozzezza e di gola. Mastica il tuo cibo con cura prima di inghiottirlo, per evitare di strangolarti.
Quando mangi non parlare con la bocca piena, ma mastica silenziosamente senza far vedere cosa hai in bocca.
Se non vuoi bere come un villano, assicurati che la tua bocca sia libera di cibo; solo il contadino fa una zuppa del genere nella bocca.
Pulisciti la bocca prima di bere, in modo tale da non mettere in imbarazzo il tuo vicino che si servirà della stessa coppa.
Non nettarti le dita sulla giubba o sulla tovaglia, ma puliscitele sul tovagliolo e lavale nell’acquamanile.
Non pulirti i denti con il coltello e non emettere nessun rumore sgradevole che possa indurre il tuo vicino ad avere schifo di te.
Non prendere il boccone più grosso e non rovistare nelle parti già tagliate cercando la più prelibata.
Sii accorto a non sporcare ne’ il tuo vestito ne’ quello dei commensali.
Non stropicciare il tovagliolo e non fare dei nodi con lo stesso, ma usalo per pulirti la bocca e le mani.
E voi, le rispettate tutte?
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