Sembrerà strano, ma c’è stato un tempo in cui la patata non era affatto apprezzata come oggi.
Importata dalle Americhe nel sedicesimo secolo, in Europa venne considerata un cibo insano, per il fatto che cresceva sotto terra: alcuni ritenevano addirittura che diffondesse la lebbra.
Inizialmente utilizzata come mangime per animali, la patata divenne cibo prima tra le classi povere, poi il suo consumo si diffuse anche tra le classi agiate, ma solo con il contributo di alcuni scienziati, tra cui l’agronomo francese Antoine Parmentier, che introdusse con successo alla corte di Luigi XVI diverse ricette a base di patate, come la “zuppa Parmentier” e il “puré”, sfatando la leggenda sulla loro pericolosità.
Pare che, proprio grazie alla conoscenza con Parmentier, Alessandro Volta si appassionò tanto al disprezzato tubero da portarlo in dono alla famiglia dopo un viaggio in Francia. Nella perplessità generale, spiegò che quello era un ortaggio commestibile, di facile produzione e molto apprezzato anche dalla regina Maria Antonietta che ornava i suoi capelli con fiori di patata, ed iniziò a coltivarlo nelle sue proprietà a Camnago, decantandone le virtù e contribuendo alla sua diffusione in Italia. Si dice addirittura che sia proprio Volta l’inventore degli gnocchi poiché da scienziato dimostrò che non solo le patate non erano tossiche ma, mescolate all’impasto tradizionale, rendevano più leggere le paste fatte in casa, fino ad allora costituite solo da farina di grano. Gli gnocchi, nati in epoca rinascimentale, erano infatti inizialmente realizzati con mollica di pane, latte e mandorle tritate e venivano chiamati zanzarelli, mentre solo dal Seicento divenne popolare l’impasto di farina, acqua e uova a cui Volta aggiunse le patate.
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