Dal 22 al 25 maggio ci ritroveremo alle urne per le elezioni europee, a dare un voto per molti poco comprensibile nelle sue conseguenze e implicazioni pratiche, ma soprattutto viziato dalle diatribe politiche interne al nostro paese.
La questione Europa d’altronde è spinosa da secoli e se da un lato è vero che la costituzione di un’Europa politica, culturale e commerciale (sogno di molti monarchi del passato fin dai tempi di Carlo Magno) ha portato facilitazioni ai cittadini del vecchio continente, dall’altro non si può dire che l’unione sia reale.
Senza dimenticare che l’equilibrio vacilla ogni qual volta le disparità tra gli stati si fanno più profonde, mentre il passagggio dagli originari 6 membri fondatori agli attuali 28 avrebbe forse dovuto compiersi con maggiore lungimiranza.
Per la prima volta, in occasione di queste elezioni, si sono tenuti dei confronti televisivi tra i candidati alla presidenza del Parlamento Europeo, dalla camera plenaria di Bruxelles. Forse un modo per avvicinare maggiormente i cittadini europei a delle figure politiche che da sempre sentono piuttosto estranee e lontane.
Pesano però su questo voto la recessione economica, la questione dell’immigrazione e quella monetaria, la lontananza delle decisioni di Bruxelles dalla quotidianità della gente e la mancanza di una vera banca sovranazionale, così i media, come già accaduto nei momenti più caldi della nostra storia elettorale, si riempiono di slogan, parole, messaggi drastici e minacciosi pro o contro questa entità polica e territoriale che forse, resterà precaria e squilibrata ancora per molto tempo se non impareremo a sentirci, prima di tutto, cittadini del mondo.
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W l’Europa dei popoli che è ben altra cosa rispetto a quella che hanno costruito i banchieri con i loro consoli messi al governo dei suoi paesi.