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Asepsi

braciere in sala operatoria per la disinfezione degli strumenti mediante il fuoco, XVI secolo elaborazione ©Fototeca Gilardi.

La preoccupazione di mantenere salubre l’ambiente in cui si vive ha accompagnato tutta la storia dell’umanità, nonostante periodi di inspiegabile indifferenza alle condizioni igieniche, tanto grave quanto l’attuale aspirazione a vivere in un mondo totalmente asettico. Quella della disinfezione è, infatti, una storia che affonda le radici nel più remoto passato.
L’abitudine di bollire gli strumenti chirurgici e l’acqua per disinfettare le ferite, è nota fin dalla notte dei tempi, così come l’uso di paste morbide detergenti simili al sapone conosciute già dagli Assiro-Babilonesi; nella Bibbia troviamo l’indicazione di bruciare gli abiti e le bende infette dei pazienti e l’indicazione di utilizzare l’aceto per disinfettare le ferite. Già gli antichi Egizi conoscevano l’uso di pece, resine e catrami a scopo antisettico, così come l’utilità del sale comune e del “nitro” (sale di carbonato di sodio) che usavano nell’arte dell’imbalsamazione.
Nell’antichità si era soliti purificare gli ambienti mediante bracieri in cui venivano poste erbe come l’artemisia, il rosmarino, il mirto, la salvia e resine come l’incenso o la mirra, legni di sandalo, di canfora e cannella. La purificazione era allora intesa come disinfezione sia fisica che spirituale, ma la stessa scelta delle sostanza da bruciare induce a ritenere che gli antichi avessero osservato empiricamente una diminuzione delle infezioni a fronte di rituali di questo genere, come oggi confermato dalla scienza. Nell’Odissea leggiamo come Ulisse, dopo la strage dei Proci, ordini all’anziana serva Euriclea di portargli zolfo e fuoco per purificare la sala del trono; al di là del gesto simbolico e religioso, è piuttosto facile dedurre che già all’epoca fossero note le sue proprietà curative, antiparassitarie e antifungine (è per altro noto che lo zolfo fosse usato già dagli antichi Greci in agricoltura).
Nonostante questi promettenti inizi per molti secoli l’arte della disinfezione non fece alcun progresso, fu infatti necessario arrivare al XVIII secolo per vedere diffondersi una cultura dell’igiene almeno a livello medico, e iniziare a trovare raccomandazioni come quella di mantenere pulito l’ammalato e irrorare la sua stanza con l’aceto, oppure semplicemente quella di lavarsi le mani tra un paziente e l’altro e di cambiarsi d’abito dopo una visita. Fu però soltanto da metà Ottocento che medici e scienziati del livello di Semmelweis (in ambito ostetrico), Lister (in ambito chirurgico) e Pasteur riuscirono a dimostrare le cause delle infezioni e a cambiare per sempre le prassi ospedaliere e il trattamento dei pazienti, dando l’avvio a una cultura della sanificazione negli ambienti medici.
Dopo le scoperte di Pasteur e Semmelweis, Lister , che aveva già sperimentato l’uso di garze imbevute di acido fenico per fermare le cancrene, inventò un nebulizzatore che vaporizzava questa sostanza disinfettante nelle sale operatorie, fortemente irritante per i medici, ma salvifica per i malati. La sua invenzione venne seguita, nel 1880, dall’adozione in sala operatoria delle autoclavi per la sterilizzazione degli strumenti chirurgici (in base al metodo individuato da Pasteur) e, nel 1890, da quella dei guanti in lattice commissionati da un chirurgo inglese alla Goodyear.
Era finalmente nata la moderna asepsi.

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