Tutti con l’impermeabile!
Arriva l’autunno con i suoi (normali) temporali che si trasformano in catastrofi annunciate su ogni TG.
Chissà cosa potremmo sentirci dire se divenisse di pubblico dominio che il nome “trench”deriva da “trincea“?
Forse ci sentiremmo degli eroi già solo indossando il nostro liso impermeabile alla fermata dell’autobus.
Il trench, infatti, nasce per usi militari: la sua prima comparsa risale al 1901, quando il Ministero della Guerra inglese deliberò di utilizzare il trench coat (cappotto da trincea) per il reparto fanteria: si trattava di capi lunghi fino alla caviglia, adottati nello stesso periodo anche dall’aviazione inglese.
Nel 1823 il chimico Charles Macintosh, saldando due tessuti di lana con caucciù sciolto in nafta, aveva brevettato il processo di impermeabilizzazione poi migliorato nel 1837 da Charles Goodyear, ma il primo modello di trench, firmato Burberry, nacque applicando la nuova tecnica su un gabardine già reso “scivoloso” da una tessitura a spina di pesce. Questo permise ai soldati, esposti alle intemperie della trincea, di ripararsi almeno dalla pioggia.
Prima di allora molti erano stati i tentativi di rendere gli indumenti impermeabili all’acqua.
Fino al XVII secolo i tessuti destinati allo scopo, venivano cosparsi di oli vegetali, gelatine animali e cere, come il lombardo “sanrocchino”, un mantello di tela cerata usato per ripararsi dal clima umido, ispirato all’iconografia classica di San Rocco.
In seguito si iniziò a trattare le stoffe con la bollitura o con sostanze varie, dal caucciù alla paraffina, fino alla polvere di sughero e alle vernici da barca.
Il trench, da capo militare, divenne un abito “civile” negli anni Venti: la sua diffusione durante la Depressione si deve a cause economiche, in quanto costava molto meno di un cappotto.
Nei decenni successivi la sua fama crebbe grazie al suo impiego letterario e cinematografico: negli anni quaranta, infatti, entra nel mito grazie ad Humphrey Bogart e a Dick Tracy, poi acquista eleganza con l’esile figura di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, divenendo simpaticamente stazzonato addosso a Peter Falk nel Tenente Colombo e rigidamente irresistibile con Peter Sellers ne La pantera rosa.
Per me, purtroppo, resta comunque un capo scomodo capace di rendere goffo chiunque pesi più di quarantacinque chili o sia più basso di un metro e settanta quindi, credo che anche quest’anno rinuncerò a tutta questa “miticità” e mi rassegnerò a restare “in trincea” con un semplice ombrello!
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