La stagione teatrale della Scala si aprirà, come da tradizione, il prossimo 7 dicembre con l’Otello di Giuseppe Verdi, il penultimo dramma lirico scritto dal grande compositore parmense su libretto di Arrigo Boito.
Rappresentato per la prima volta a Milano il 5 febbraio 1887, con Francesco Tamagno nel ruolo del Moro di Venezia, l’Otello si rifà all’omonima tragedia shakespeariana, racconto dell’infausto amore tra la giovane Desdemona, figlia di un nobile veneziano, e il prestante capitano di colore, a capo dell’armata della Serenissima.
Otello, di indole collerica e incline alla gelosia, viene indotto da Jago (uno dei suoi uomini, deluso per non essere stato scelto come luogotenente) a credersi tradito dalla bellissima moglie. Otello accecato dall’ira medita l’omicidio della propria sposa e nel tragico epilogo strangola Desdemona, per poi uccidersi a sua volta.
Il suicidio finale di Otello non è certo un gesto di pentimento, ma la conseguenza della scoperta di aver ucciso un’innocente.
Otello non mette mai in dubbio che una moglie infedele debba fare quella fine.
Jago non mette mai in dubbio che un tale marito, se tradito, arriverà ad uccidere la moglie.
E Desdemona, semplice oggetto di un gioco di potere tra due uomini divorati da forme diverse di odio, perde la vita senza neppure sapere il perché.
La dinamica omicida di Otello, che nel corso degli anni avevamo iniziato a giudicare come un anacronistico retaggio del passato, qualcosa di possibile giusto in una rappresentazione teatrale, oggi ci lascia di nuovo sgomenti. Assomiglia troppo al più banale dei femminicidi e parla un linguaggio che risulta spaventosamente familiare.
Anche l’ intersecarsi dei pregiudizi che ai tempi di Shakespeare vedevano un Moro come seduttore di donne bianche, geneticamente violento, non sembrano molto diversi da quelli che ogni giorno vengono cavalcati dalla politica; così come la rabbia di un invidioso Jago che si spinge oltre il limite della persecuzione, oggi trova spazio quotidianamente nelle pagine di cronaca.
Prepariamoci quindi a godere il capolavoro verdiano con una consapevolezza in più: se nel mondo dei nostri vent’anni Otello ci era sembrato un primitivo babbeo credulone, raro da trovare in natura, e Jago un intrigante facilmente neutralizzabile con una moderna, evoluta, sincera chiacchierata tra marito e moglie, a cinquant’anni potremmo ricrederci e capire che Otello e Jago camminano tra noi anche oggi, perché le conquiste di civiltà non sono mai definitive.
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