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25 luglio 1943

25 luglio 1943, si bruciano i ritratti di Mussolini - elaborazione ©Fototeca Gilardi

Settantacinque anni fa, la notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, riunito per la prima volta dopo l’entrata in guerra, votava la sfiducia a Mussolini . Si apriva così la crisi che avrebbe portato nel giro di poco tempo alla caduta del Fascismo con l’arresto del Duce, il suo “rapimento” su ordine di Hitler e la nascita della Repubblica di Salò, mentre il re Vittorio Emanuele III, per mano del Generale Badoglio, siglava un armistizio con gli alleati e apriva le porte agli anglo-americani sbarcati in Sicilia.
Era nota a tutti la situazione catastrofica in cui versava il nostro esercito nel 1943 e le testimonianze riportano come lo stesso Mussolini fosse consapevole che, durante quella seduta, avrebbe dovuto rendere conto del disastro. Dopo un lungo dibattito, il primo ordine del giorno ad essere letto fu quello di Dino Grandi che non chiedeva le dimissioni del Duce, ma di ripristinare l’art.5 dello Statuto Albertino restituendo il comando supremo delle forze armate al re. Grandi, che chiedeva da tempo la convocazione del Gran Consiglio e l’aveva ottenuta solo dopo un anno, forte dell’appoggio del sovrano e di molti gerarchi, proseguì con un duro attacco alla linea politica del Duce criticando la scelta dell’alleanza con la Germania e la pessima gestione del conflitto, attribuendo a Mussolini l’assoluta responsabilità di aver trascinato l’Italia in guerra. La richiesta era quella di sottrarsi all’abbraccio mortale di Hitler avviato sulla strada della sconfitta.

Farinacci, filo tedesco, pur concordando con le prime istanze dell’O.d.G di Grandi, ribadì invece “il dovere sacro per tutti gli Italiani di difendere fino all’estremo il sacro suolo della Patria, rimanendo fermi nell’osservanza dell’alleanza conclusa nel 1939.
Iniziato alle ore 17 del 24 luglio, il tumultuoso Consiglio si concluse dopo una serie di contestazioni e proposte di modifiche, alle 2.30 del mattino successivo con l’approvazione delle proposte di Grandi: 19 furono i voti a favore (Grandi, Ciano, De Bono, Federzoni, Bottai, De Vecchi, De Marsico, Albini, Alfieri, Marinelli, Acerbo, Pareschi, Rossoni, Bastianini, Bignardi, Gottardi, De Stefani, Balella e Cianetti), 8 i contrari (Scorza, Buffarini-Guidi, Enzo Galbiati, Biggini, Polverelli, Tringali Casanova, Frattari, Farinacci) e solamente un astenuto, il presidente del Senato Suardo.
Poche ore dopo, nelle radio degli italiani, si udì gracchiare una voce: “Sua Maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro e segretario di Stato, presentate da S.E. il Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato capo del governo, primo ministro e segretario di Stato S.E. il Cavaliere Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio”. La sera stessa Badoglio annunciò lapidario alla radio: La guerra continua”.
Come andarono le cose in seguito lo sappiamo: mentre la radio annunciava le dimissioni di Mussolini quest’ultimo era già stato arrestato per ordine del re con l’accusa di aver portato l’Italia in guerra a fianco dei nazisti ed era stato nascosto in una caserma dei Carabinieri, per poi essere trasferito all’isola di Ponza. Portato alla Maddalena e poi sul Gran Sasso, il Duce fu prelevato il 12 settembre da un commando di paracadutisti tedeschi per ordine di Hitler.
L’8 settembre Badoglio aveva già firmato l’armistizio abbandonando il nostro esercito al caos e alle vendette dell’esercito tedesco, e il 28 settembre Mussolini, a Salò, costituì la Repubblica Sociale Italiana riunendo intorno a sé i fedelissimi. Cinque firmatari della proposta Grandi (il genero del duce Galeazzo Ciano, e poi De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi), saranno arrestati, giudicati colpevoli d’alto tradimento dai fascisti della Repubblica di Salò e fucilati per ordine di Mussolini nel gennaio del 1944. L’esercito di repubblichini affiancò i nazisti sul nostro territorio combattendo esercito italiano, partigiani e alleati fino alla fine del conflitto.

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