“Questo documento, secondo me, è opera di un uomo in stato morboso dettata dal demone che si era impadronito di lui. Pare il dimenarsi di un malato che soffra di un dolore acuto e si agiti nel letto […] è nello stesso tempo qualcosa di mostruoso e di disperato, sebbene scritto, evidentemente con un altro scopo“. Così scriveva Dostoevskij ne “I Demoni” sulla confessione di Stavrogin, operando una sorta di analisi psicologica della calligrafia del suo personaggio. La grafia di ognuno di noi ha un suo carattere personale ed un “passo” caratteristico: dopo i primi anni di scuola si evolve e si personalizza, iniziando a parlare di noi più di quanto vorremmo, e cambia nella stessa persona, a seconda dell’emozione che la anima in quel momento. Questa particolarità umana ha suscitato da sempre grande interesse: in letteratura ci sono molti esempi di analisi grafologica pre-scientifica e autori come Svetonio, Shakespeare e Goethe , affascinati dalla mutevolezza della calligrafia, ne scrissero ancor prima della nascita della grafologia moderna. Probabilmente nei meravigliosi manoscritti e negli autografi di tanti personaggi storici che ci hanno lasciato testimonianza del loro lavoro e della loro vita, potremmo trovare traccia dei loro talenti, delle loro intuizioni o dell’emozione di un istante. Un esempio per tutti, una lettera di Madre Teresa di Calcutta la cui scrittura è qui analizzata in modo esauriente e approfondito e che rivela inaspettatamente un carattere pratico e ben ancorato alla realtà, più che un’aspirazione mistica e ultraterrena.
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