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Tattoo

Fin dai tempi di Otzi l’arte del tatuaggio ha accompagnato la storia umana, con valenze rituali, curative,  identitarie o semplicemente estetiche.
Diffusi in tutto l’oriente, dalla Cina al Giappone, dalla Persia all’Egitto, dalle Filippine all’India vengono citati anche nel Milione da Marco Polo che scrisse di aver visto disegni fatti con gli aghi, sulla pelle di abitanti della Cina occidentale.
Nella nostra cultura il tatuaggio (per lungo tempo limitato in gran parte ad identificare criminali e detenuti) compare per la prima volta nel 1769, quando il Capitano inglese James Cook a Tahiti, annotando le usanze della popolazione locale, trascrive per la prima volta la parola tattow, alludendo alla body art degli indigeni.

La parola tatoo deriva infatti dal nome dello strumento usato dagli antichi artisti polinesiani che incidevano la pelle, il  tatatau (letteralmente battere o marchiare). Formato da un manico di legno e una punta che poteva essere il becco o l’artiglio di un uccello o il dente di un pescecane, veniva battuto sulla pelle per inciderla. Spesso questa sorta di bisturi aveva da tre a venti punte separate. Le tinte usate erano nere, verdastre o marroni e si ottenevano con carbone diluito in acqua o in olio. Per garantire la tenuta dell’inchiostro, la mistura veniva completata con zucchero di canna o succo di noce di cocco.
In tutta la Polinesia il tatuaggio si è diffuso nei secoli, ma è soprattutto nell’arcipelago delle isole Marchesi (dove visse e morì Gauguin) che ha raggiunto il suo culmine.  Spesso i Marchesiani erano completamente tatuati per risultare più attraenti agli occhi delle donne e per impaurire i nemici. Così come i Maori.

In Occidente l’arte del tatuaggio si diffuse verso la fine dell’ottocento grazie alla passione per i paesi orientali ed esotici che pervase l’Europa all’epoca degli imperi coloniali, quando marinai e aristocratici tornavano in patria con il segno indelebile del loro viaggio in oriente. La moda del tatuaggio sedusse presto molti personaggi insospettabili.
Lady Randolph Churchill si era fatta tatuare un serpente intorno al polso che poteva essere coperto, all’occorrenza, da un bracciale; il più sobrio figliolo, sir Winston Churchill, aveva invece un’ ancora sull’avambraccio, come il più classico dei marinai.
Il futuro zar Nicola II, spedito per nove mesi in Oriente dal padre perché dimenticasse la granduchessa Alessandra d’Assia (che poi divenne sua moglie) tornò dal viaggio con un dragone tatuato sul braccio destro, fatto a Nagasaki in un quartiere malfamato della città.
Il settimo Presidente degli Stati Uniti, Andrew Jackson, aveva tatuato un tomahawk gigante sull’interno coscia.
La sua presidenza è segnata dall’esproprio delle terre dei Cherokee.
Anche il 26° presidente USA, Theodor Roosevelt, aveva l’emblema araldico della sua famiglia tatuato sul petto, così come il suo discendente, Franklin Delano Roosevelt, 32° presidente degli Stati Uniti.
Misteriosi “segni” tatuati li avevano anche George Orwell che, vissuto per anni in Birmania, ne era tornato con un punto blu su ciascuna nocca (probabilmente un segno di protezione magica) e Thomas Edison, che aveva 5 punti tatuati sull’avambraccio. Il celebre inventore fu il primo a brevettare nel 1876 l’idea di una penna elettronica, che sta alla base delle macchina per tatuaggi inventata da Samuel O’Reilly.
John Wilkes Booth il noto assassino di Abramo Lincoln, attore affermato, quando morì fu identificato grazie ad un tatuaggio sulla mano con le sue iniziali, antica usanza degli attori.
Anche Aroldo II, ultimo re anglosassone d’Inghilterra morto durante la famosa battaglia di Hastings e immortalato nell’arazzo di Bayeux, venne identificato grazie ad un tatuaggio. Il re durante la battaglia aveva ricevuto una freccia in un occhio ed era stato brutalmente mutilato dopo essere stato ucciso. Si racconta che la vedova, Edith, lo riconobbe da alcuni “segni sul suo corpo” (verosimilmente tatuaggi) in cui, dice la leggenda, si distinguevano due parole: “Edith” ed “Inghilterra”.

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