C’è chi le ritiene il peggiore dei mali e chi ne tesse le lodi in nome del bene comune, ma parlare di imposte e tasse non suscita mai indifferenza.
La storia ci dimostra che l’imposizione di tasse è vecchia come il mondo, o meglio, è vecchia come la società umana: nasce con l’esigenza di mantenere un esercito per difesa e conquista, per costruire e sostenere infrastrutture e servizi pubblici, e non ultimo per permettere ad alcuni ceti di mantenere inalterato il livello di benessere, indipendentemente dall’andamento dell’economia del loro territorio.
Per raggiungere questi fini, nel corso dei secoli, molti imperatori, principi e ministri hanno sfiorato il virtuosismo nell’inventare sempre nuove imposte su qualunque cosa si muovesse, basti pensare ad esempio alla celebre tassa sull’urina dei bagni pubblici che l’imperatore Vespasiano applicò a tutti i privati, tintori compresi, che fino ad allora l’avevano raccolta a costo zero per la loro attività.
Tito Flavio Vespasiano che, con questa trovata, lasciò il suo nome in eredità agli orinatoi, in realtà non fu il peggiore dei governanti, anzi all’epoca ridimensionò moltissimo gli sprechi della corte e delle rappresentanze, per risanare le finanze dell’impero, mentre non si può dire lo stesso di un suo predecessore, Caligola maestro di eccessi, che pensò bene di istituire una tassa sulla prostituzione in “ritenuta d’acconto”: di ogni prestazione, il 20% sarebbe andato in tasse.
I Romani furono maestri nell’inventare curiose gabelle, come ad esempio la “multa” per non essersi arresi in tempi ragionevoli alla loro conquista, ma da allora la creatività fiscale non ha mai conosciuto crisi.
Numerose nel corso della storia, oltre alle ormai note tasse sulla cipria delle parrucche o sul celibato, sugli abiti di lusso o sugli stivali, furono i dazi commerciali o le imposte di stampo “religioso” quasi sempre seguite da persecuzioni: sui cristiani in territorio mussulmano, sui mussulmani in territorio cristiano, sugli ebrei in più di uno Stato, in diversi periodi storici.
Pietro il Grande istituì addirittura una tassa sull’anima, che doveva essere pagata da tutti, credenti e non credenti, mentre nel 1704 il più prosaico Federico I di Prussia impose una tassa di un talete per chiunque volesse assaggiare la novità del momento (ma importata dalla Svizzera!): il cioccolato.
Durante la conquista napoleonica si toccarono vette di aberrazione fiscale: la Repubblica di Venezia, dopo essere stata depredata dell’intera Zecca, dovette subire un’imposizione del 700%. Nello stesso periodo il Governo Francese applicò nella Repubblica Ligure una tassa sulle finestre e sulle porte, che naturalmente indusse i proprietari a murane la maggior parte e a dipingere le facciate con infissi a “trompe l’oeil“.
Ma se volessimo un elenco dettagliato di quante tasse si potrebbero applicare ad un singolo individuo, ci basterebbe dare uno sguardo alla vita di un contadino medievale, sottoposto al pagamento di:
– abbeverata per dissetare gli animali nei fontanili;
– acquatico per attingere acqua da fonti o sorgenti;
– erbatico per falciare l’erba in un prato;
– glandatico per raccogliere ghiande o condurre maiali nei querceti;
– legnatico (o boscatico) per tagliare e raccogliere legna di alto fusto;
– macchiatico per raccogliere legna di basso fusto e arbusti
– pantanatico per pescare anguille e rane negli stagni
– pascolatico per condurre greggi al pascolo
– pedatico (o pedaggio) per attraversare o percorrere a piedi strade, sentieri o proprietà private;
– pescatico per catturare pesci in acqua dolce o salata;
– pontatico per transitare sui ponti doganali o di proprietà privata
– ripatico per approdare o sostare su rive di acque interne
– siliquatico per raccogliere carrube ed altri baccelli
– spicatico per raccogliere spighe dopo la mietitura;
– plateatico per l’ occupazione di suolo pubblico (in sostanza per poter vendere i propri prodotti nelle piazze)
– rotatico per il danno recato alle strade dall’uso dei carri
– polveratico per il fastidio arrecato al signore dalla polvere sollevata dai veicoli.
– focatico per il possesso di un focolare, cioè di un’abitazione
– imbottato per ogni sacco o botte di prodotti agricoli posseduti a fine anno, tassati nuovamente se venivano venduti o comprati da forestieri;
– fodro o albergaria cioè l’obbligo di fornire i rifornimenti alle autorità itineranti (fu uno dei principali motivi di scontro tra Federico Barbarossa e le città lombarde);
inoltre si pagava per l’uso del forno e del mulino ed era prevista una multa se un figlio fosse andato in seminario, perché il castello avrebbe perso due braccia per il lavoro; altre fonti di entrata per i signori medievali erano anche le tasse di giustizia, le confische e i dazi, le imposte sull’uso dei magazzini di deposito, della pesa pubblica, per non parlare di quelle sui beni di monopolio come il ferro e soprattutto il sale, da cui si presume derivi addirittura l’invenzione del “pane sciocco” (senza sale) toscano.
Così, a chi si lamenta pensando alla prossima rata dell’IMU, consigliamo la lettura di questo aneddoto come spunto di riflessione.
Pare che in origine i trulli fossero stati ideati in questo modo per evadere il pagamento delle tasse sulle case.
Ci sono varie teorie in proposito. Una di queste afferma che i Trulli venivano usati per comunicare mediante segnali di fumo l’arrivo di eventuali controlli; in quel caso venivano letteralmente scoperchiati, in attesa di essere ricostruiti una volta passato il pericolo. Una diceria popolare vuole che all’avvicinarsi del padrone che chiedeva la tassa sulla casa, bastasse tirare via una sola pietra per far crollare tutta la costruzione, facendo apparire il tutto come un semplice cumulo di sassi!
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