Non sempre i proverbi e i modi di dire giunti fino a noi hanno un fondamento storico.
Il detto popolare “essere stupida/o come un’oca” pare non abbia alcuna ragion d’essere e che, anzi, stravolga completamente la simbologia che storicamente molti popoli attribuiscono a questo candido, nobile, forte e alquanto aggressivo, volatile.
Spesso intercambiabile con il cigno, l’oca era già un elemento centrale nel pantheon egizio, essendo associata nientemeno che all’anima del faraone: ogni volta che un sovrano egizio veniva incoronato, durante la cerimonia venivano liberate delle oche verso i quattro punti cardinali.
Come animali migratori infatti, il loro arrivo in terra egizia segnava l’inizio della bella stagione, una rinascita.
Inoltre, secondo il mito, fu Geb, il dio egizio della terra trasformato in oca, che fece nascere il sole covando un uovo, infatti viene spesso raffigurato mentre regge sul capo l’oca, detta anche “la grande schiamazzatrice”.
È risaputa la capacità delle oche di segnalare, proprio starnazzando e battendo le ali, i pericoli incombenti: la loro attenzione e il loro coraggio, specie all’appressarsi di predatori (ladri, faine, volpi, lupi) o nel segnalare un principio di incendio, sono cose note e spesso venne preferita ai cani nel tenere lontani gli estranei e nel dare l’allarme.
Per questo storicamente le viene attribuita la funzione di “guardiana” e le si riconoscono poteri profetici.
Il mito di Filemone e Bauci, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, racconta di una coppia di contadini che ospitarono nella loro capanna due pellegrini scacciati da tutti, sotto le cui spoglie si celavano Giove e Mercurio. Fu l’oca dei due anziani coniugi a consentire la rivelazione della vera identità dei divini viandanti.
Anche Tito Livio e Plinio il vecchio, confermano questo dono magico dell’animale, riportando un vecchio racconto secondo il quale un gruppo di oche sacre a Giunone che razzolavano sul colle Campidoglio di Roma avessero sventato, con il loro stridio, il tentativo di un esercito gallico comandato da re Brenno di impossessarsi della rocca capitolina. Lo starnazzare notturno degli animali avrebbe destato dal sonno i difensori dell’Urbe, i quali immediatamente respinsero l’attacco nemico salvando Roma dal saccheggio.
Vediamo così come in ambito greco/romano l’oca fosse considerata messaggera degli Dei e portatrice di facoltà profetiche. Animale sacro a Hera/Giunone era anche un attributo di Afrodite/Venere, che usava un cigno come cavalcatura, e di Proserpina, rappresentando così la Grande Madre, sia nel suo aspetto celeste, sia in quello terrestre, che in quello infernale.
L’oca condivide con il cigno il simbolo di “donna sovrannaturale”: spesso in miti e leggende si vedono Fate (ma anche la Vergine Maria) trasformarsi in oche per attraversare le acque, ad una ulteriore conferma della sua funzione di psicopompo, cioé (grazie alla sua duplice natura acquatica e terrestre) di guida delle anime dei morti verso l’aldilà
Lo stesso “gioco dell’oca” nasce come metafora di un viaggio verso la dimensione divina, costellato di colpi di fortuna e difficoltà, associato strettamente al Cammino di Santiago dove la conchiglia del viandante altro non è che la trasposizione della zampa palmata dell’oca la quale, grande camminatrice, “conduceva” ai luoghi santi torme di pellegrini che la seguivano per chilometri, come una vera e propria guida sacra.
Forse anche per questo, al centro della via Lattea, considerata “la Via delle anime morte”, gli antichi collocarono proprio la costellazione del Cigno/Oca.
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