Tra i numerosi reportage antropologici conservati nella Fototeca Gilardi, uno dei più completi e suggestivi è quello che documenta il rito primaverile di “Sega la Vecchia” immortalato dagli scatti di Ando Gilardi nel marzo 1958, durante l’indagine svolta da Diego Carpitella e Tullio Seppilli per l’Accademia Santa Cecilia di Roma. L’antichissima pantomima che metteva in scena ogni anno la morte simbolica della stagione fredda e il ritorno della primavera tra canti e stornelli popolari, era un rito di Mezza Quaresima tipico del mondo contadino che, tra sacro e profano, da millenni cercava di propiziarsi così la fertilità della Terra. Spesso celebrata come festa familiare, molto più spesso come festa collettiva, il rito di Mezza Quaresima ruotava intorno al personaggio della “Vecchia”, rappresentata a volte da una semplice scopa coperta da uno scialle e passata di mano in mano durante il ballo, altre volte da un tronco di quercia travestito, altre ancora da un attore mascherato con abiti da donna che metteva in scena la morte della Quaresima e la rinascita della vegetazione. Durante la farsa, l’improvvisata compagnia itinerante di popolani accompagnati da musicisti seguiva un canovaccio simile in tutta Italia, lanciandosi in battute comiche e triviali. All’inizio la Vecchia (scambiata per una quercia e quindi abbattuta da due “segantini”, oppure stramazzata a terra durante un ballo sfrenato) si ritrova stesa come morta e impossibile da far rinvenire; il vecchio marito accorre disperato al capezzale della Vecchia/quercia e tutti si danno da fare per riportarla in vita; arriva un prete a benedire la sua dipartita, intervengono i dottori che cercano di mettere una flebo di vino al braccio della Vecchia, ma la flebo finisce in bocca al dottore o al marito. Ovviamente la Vecchia continua a non star bene, è a terra immobile e il dottore o il Vecchio marito, ormai ubriachi, provano a rianimarla in un modo poco ortodosso, rovistando sotto la gonna e praticando manovre sconce (come vuole l’origine agraria del rito, che allude alla ritrovata fertilità della terra). Alla fine la Vecchia tornerà in vita nella gioia generale, come vuole l’antico rito di rinascita della Natura fecondata, accompagnata da canti e balli, e festeggiata con gran mangiate di ceci, indiscusso simbolo di fertilità fin dai tempi delle Antesterie, le feste in onore dell’antico Dioniso che tra febbraio e marzo celebravano il piacere del vino e la fioritura della vegetazione.
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