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Sangue per modo di dire

Sangue italiano spartito e scena di battaglia garibaldina - elaborazione ©Fototeca Gilardi

Qualcuno sviene alla sua semplice vista. Altri lo versano senza scrupolo, altri ancora lo donano, ma tutti indistintamente lo associamo alla vita. Si tratta del sangue, protagonista di moltissimi modi di dire oltre che di innumerevoli rituali religiosi.
Tra le più conosciute espressioni “sanguigne” abbiamo il detto “essere in vena”, cioè sentirsi in forma e ben disposti a fare qualcosa. L’origine di questa espressione viene fatta risalire al linguaggio medico e all’antica abitudine di verificare la condizione dei pazienti attraverso la tastazione del polso: quando si avvertivano pulsazioni regolari il medico dichiarava che il paziente era “in buona vena” (anche se in realtà quelle tastate erano arterie), poiché la regolarità del battito veniva considerata una reazione positiva dell’organismo. Per questo oggi diciamo di essere in vena quando ci troviamo nelle migliori condizioni di spirito per affrontare, con successo, un compito, ma innumerevoli altri modi di dire hanno come protagonisti i vari elementi del sistema circolatorio, ad esempio “sentirsi ribollire il sangue nelle vene” significa essere in preda all’ira, mentre se “il sangue gela nelle vene” siamo terrorizzati.
“Non hai sangue nelle vene!” è un insulto che rivolgiamo a chi è senza energia e senza coraggio.
“Farsi cattivo sangue” invece è tipico di chi cova rancore; chi “sputa sangue” non è tisico: fa una fatica immane, mentre chi è un po’ matto o stravagante “ha una vena di follia” e chi sragiona “ha la vena chiusa”, segno che neppure un po’ di ossigeno riesce a raggiungere il suo cervello. Poi c’è anche chi “ha sangue blu”, ma non facciamoci ingannare perché parliamo di nobiltà e non più di sangue poco ossigenato.
“Calma e sangue freddo” lo diciamo per invitare qualcuno a mantenere il controllo della situazione e “mi fa sangue” allude a un soggetto che suscita in noi una forte attrazione fisica, ma se “tra noi non scorre buon sangue” è meglio evitarsi, o lanciarsi in un “duello all’ultimo sangue“.
Infine c’è “il richiamo del sangue”, quell’istinto che ci fa riconoscere e amare chi ha i nostri stessi geni, o che ci porta ad esprimere talenti ereditati dagli avi, dimostrazione che “buon sangue non mente”.

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