«Tre amici Patrizia, Elena e Fabrizio hanno, senza dirmelo prima, deciso di fare una mostra con le fotografie che presi dal Nord al Sud dell’Italia dal 1950 al 1962 come fotografo scalzo, così mi dicevo rubando il nome ai medici scalzi cinesi di Mao. In Cina negli anni di allora furono insegnati rudimenti di medicina a molti contadini, per creare una presenza medica nell’intero paese, e ancora oggi gli scalzi sono gli unici medici nelle estreme zone rurali.
Ho avuto la fortuna immensa – per un fotografo scalzo – di essere stato il fotografo se non ufficiale ufficioso della CGIL negli anni ’50, e di avere raccolto per il suo settimanale a rotocalco “Lavoro” – oggi più interessante per l’antropologia che per altro – gli ultimi documenti fotografici sulla fine, diciamo pure sull’estinzione, delle tre grandi classi del proletariato italiano. Ora: in Italia dagli anni 1950 al 1962 persero il proprio lavoro sette/otto milioni di proletari, sono le cifre ufficiali. (…)» etc.
Così ci presenta Ando Gilardi: ed essendo una dei suoi sunnominati “tre amici” posso affermare in tutta sicurezza e proclamare a gran voce che la mostra Olive e bulloni. Ando Gilardi. Lavoro contadino e operaio nell’Italia del dopoguerra (1950-1962) verrà inaugurata il 15 novembre 2011 alle ore 18:00, promossa dalla Fondazione Corrente in collaborazione con Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi e a cura di Fabrizio Urettini di XYZ. La mostra comprende una serie di istantanee realizzate dal giovane Ando Gilardi a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta: 30 fotografie realizzate tra il 1950 ed il 1961, esposte assieme a pubblicazioni e documenti d’epoca, a partire dal periodico “Lavoro”, la rivista della CGIL fondata nel 1948 da Giuseppe Di Vittorio e diretta da Gianni Toti dal 1952 al 1958. Del percorso espositivo fa parte anche una video intervista ad Ando Gilardi curata da Giuliano Grasso Piedi scalzi mani nere. Braccianti e operai degli anni ’50 nei reportage di Ando Gilardi nella quale il fotografo racconta la sua esperienza di inviato speciale fra gli operai delle fabbriche del Nord e i braccianti del Mezzogiorno più povero. Segni mnemotecnici – come egli stesso ama ridefinire le istantanee – di un’Italia profondamente diversa da quella di oggi.