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Mesi figurati

calendario didattico e allegorico nella storia , elaborazione ©Fototeca Gilardi

La percezione del tempo è forse uno dei fattori che più ci distingue dai nostri avi. Indubbiamente il ritmo delle nostre vite sembra immensamente accelerato rispetto a quello dei nostri bisnonni, accelerato e ritmato in modo regolare e sempre costante, come un battito cardiaco: ogni giorno è uguale all’altro; ogni giorno, ogni mese, ogni settimana svolgiamo le nostre attività per lo stesso numero di ore, nello stesso luogo, con gli stessi strumenti e mezzi, facendo lo stesso percorso. Quel che accade in natura non cambia quasi nulla del nostro quotidiano e la distinzione tra giorni feriali e festivi è del tutto scomparsa: il nostro tempo è diventato un flusso indistinto di attività che si susseguono senza che un momento si possa differenziare dall’altro. Se pensiamo invece alla vita di un uomo medievale, alla sua scansione delle ore, dei giorni, dei mesi non possiamo che stupirci dell’abisso che ci separa. Per una società contadina, come è stata quella umana per la maggior parte della sua storia, non era certo importante, ad esempio, conteggiare le ore con precisione: ci si svegliava sempre al canto del gallo, all’alba, e si lavorava in base alla luce del sole. Certo anche nel Medioevo le ore erano sempre 12 diurne e 12 notturne, ma erano, diciamo così, “elastiche” per quel che riguarda la loro durata in minuti: se d’inverno un’ora diurna poteva durare 30 minuti, d’estate poteva arrivare a 70.
L’idea che un nostro antenato medievale aveva dello scorrere del tempo era strettamente legato alle stagioni e a ciò che le stagioni permettevano di fare, e lo vediamo chiaramente in opere mirabili come i cicli figurati dei Mesi che per secoli ebbero una grandissima diffusione: sculture, bassorilievi, miniature, affreschi, arazzi rappresentavano ogni mese come una particolare attività agricola associata al periodo dell’anno, dalla fienagione di luglio, alla vendemmia di settembre, dall’aratura autunnale o primaverile, alla tosatura delle pecore estiva. Posti sovente nelle chiese o in luoghi pubblici i cicli figurati dei mesi avevano la funzione di mostrare la ciclicità delle attività umane e l’armonia che le regolava, rappresentando un popolo al lavoro e una nobiltà occupata in passatempi come le passeggiate a cavallo o i banchetti davanti al caminetto acceso. Spesso accostati, i cicli “popolari” e quelli “nobili” avevano anche la funzione di ricordare le differenze di classe e di rafforzarle, per mantenere un equilibrio sociale basato sull’accettazione prona del proprio ruolo da parte della classe subalterna, comunque rappresentata con immagini di grande prosperità e abbondanza.
Se pensassimo oggi di rappresentare con delle immagini i nostri mesi, come potremmo fare? Nei nostri calendari campeggiano variamente cuccioli, opere d’arte o cibi che si differenziano cromaticamente o alludono in maniera un po’ rozza alla temperatura della stagione, ma riusciremmo a farne un’allegoria?
Chissà, forse rifacendosi alle scadenze fiscali qualcosa ne verrebbe fuori.

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