Il nostro mondo è sempre più cosmopolita. Ci mescoliamo, viaggiamo, ci “copiamo” reciprocamente, adottiamo termini linguistici altrui, ci trasferiamo in altri paesi, spesso senza grandi frizioni, anzi con una curiosità e un interesse di cui troppo poco si parla, ultimamente. Non è raro che molti giovani abbiano amici di una decina di nazionalità diverse, che passino le vacanze gli uni nel paese degli altri, che formino una solida rete di conoscenze che permettono loro di avere un riferimento ovunque vadano. Le coppie miste aumentano costantemente.
La cosa inverosimile è che, tutto questo, convive con un progressivo innalzamento di confini politico-economici e con un razzismo dilagante, innescato da chi forse non si è accorto che nel nostro DNA questa separazione tra “stranieri”, non esiste più: nel profondo consideriamo più straniero uno che vota il partito avversario, piuttosto che un amico che viene dall’altra parte del globo.
In fondo una parte di noi umani è da sempre affascinata da ciò che è esotico, ama scoprire usanze differenti, vedere fisionomie nuove, capire tradizioni che sembrano lontane. Ce ne stiamo dimenticando, in questo periodo di conflitti e di terrore, ma è così. Quando vediamo uno diverso da noi, fatichiamo a distogliere lo sguardo perché la diversità ci affascina, non perché ci fa paura.
Per parecchi decenni in occidente, l’antropologia e l’etnologia ci hanno guidato nell’esplorazione dei vari popoli e delle differenti culture, suscitando entusiasmo, curiosità, emulazione, a volte facendoci rabbrividire perché nell’altro rivedevamo il nostro passato, non sempre glorioso, spesso primitivo e violento. Interi periodi storici sono stati segnati esteticamente dai contatti della cultura occidentale con i popoli orientali, africani, arabi e ogni volta l’arte ne ha giovato, così come le contaminazioni hanno arricchito la moda, la musica e la letteratura.
Chi non ricorda il ritratto di Lord Byron, infiammato di ardore patriottico per la causa del popolo albanese, che si fa ritrarre nel costume del luogo? O la passione delle nobili europee per gli abiti orientali , per il caffè turco e il té indiano, oppure il dilagante entusiasmo per gli arredi cinesi nelle case dei primi Ottocento. Per non parlare di tutta la musica moderna che ha un enorme debito di riconoscenza verso ritmi della tradizione africana. Lo stesso discorso si potrebbe fare anche al contrario, con la “tara” (in molti casi) dell’oppressione coloniale, che non è un peso da poco, ma non si può negare che il modello occidentale abbia affascinato fin troppo, culture lontanissime da noi.
Il medio e l’estremo oriente sono stati per molto tempo fonte di ispirazione artistica per l’occidente: agli albori della fotografia celebri appassionati di immagini e di popoli produssero indimenticabili reportage sul Giappone, la Siria, la Turchia, la Cina, l’India, la Palestina, pieni di scorci suggestivi e di ritratti di un’intensità che ancora colpisce chi guarda. Grazie a nobili entusiasti fotografi di fine Ottocento, abbiamo anche testimonianze di culture ormai quasi scomparse come quella dei nativi americani (continuo motivo a cui il cinema attinge, anche quando lo traspone in chiave fantascientifica, come accadde in “Avatar”) o degli Inuit. Ogni scatto rappresenta un mondo intero.
Il piacere con il quale ancora scorriamo queste immagini parla da sé: l’istinto umano non è solo quello di chi odia lo straniero, ma più spesso sarebbe quello del curioso, del bambino che scopre che in quel luogo, in quel volto così diverso e così lontano, si nasconde solo un identico sentire e un modo nuovo di fare le stesse cose. Ogni tanto è utile ricordarlo, perché lo scambio reciproco nel corso dei secoli non si è mai interrotto e le mescolanze di ogni genere sono vitali, a differenza della tanto predicata “purezza”, razziale, religiosa o culturale che sia, sostenuta da questa o da quella parte, capace di portare solo morte e sterilità.
(Il 20 luglio 2001 andava in scena a Genova, il G8 e i “no-global”, gente di tutto il mondo che difendeva diritti già da tempo aggrediti da interessi economici globali, venne messa a tacere per sempre. Quelle persone incarnavano il modo pacifico di convivere tra popoli e costituivano un argine a ciò che ora vediamo su tutti i media. Quindici anni fa abbiamo avuto la possibilità di prendere la strada giusta o quella sbagliata. Oggi è chiaro a tutti che abbiamo preso quella sbagliata.)
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